"La la land": dedicato ai folli e ai sognatori

Perché non muoia una forma d’arte deve essere continuamente reinventata, ricostruita, resa moderna, fruibile. È questo il messaggio di fondo, in verità a doppio taglio, dentro e fuori lo schermo, che lascia allo spettatore La la land. Il ritorno dietro la macchina da presa di Damien Chazelle dopo il grande successo di critica di Whiplash (basato su un suo omonimo cortometraggio) e l’indie Guy and Madison on a Park Bench, presentato al Sundance nel 2009, quando aveva solo 24 anni, è ancora una volta un’analisi sull’arte e il nostro tempo, che si accosta al modello del cliché narrativo da e su Hollywood con un occhio a tratti nostalgico e parimenti critico. Un aspetto che stupisce di questo film è infatti l’anno di nascita del regista. Classe 1985, Chazelle sembra proprio votato, come molti suoi coetanei o poco più, a guardare al passato, a un cinema che non c’è più, a costruire su quel modello il racconto del suo futuro, quasi a sottolineare non solo la ciclicità del tempo e dello spazio (delle arti), ma anche il bisogno e il desiderio di vivere letteralmente qualcosa che in effetti la sua generazione non ha vissuto. Uccidere il cinismo che ha portato la nostra contemporaneità a non credere più nei sentimenti e nei valori che questi trasmettono. Il gioco fra la realtà e la magia della fantasia, fra il passato e il presente, è compiuto da Chazelle attraverso la musica, il suono e l’ostinazione dei suoi due protagonisti, Mia e Sebastian. Chazelle, quindi, enfant prodige ormai cresciuto, ha fatto tutti i compiti a casa, e il cinema lo conosce benissimo, dai suoi albori ai giorni nostri: dimostra inoltre di saper reinventare e sperimentare sul conosciuto. Lo palesa sin da subito la sequenza iniziale di questo film, che mette in scena un balletto fra auto imbottigliate nel traffico della tangenziale di Los Angeles in cui la danza sembra un incrocio fra West Side Story e Grease. Due film rispettivamente del 1961 e del 1978. E col procedere della pellicola si va ancora più indietro, a Leslie Caron e Gene Kelly in Un americano a Parigi, sempre a Gene Kelly e alla compianta Debbie Reynolds e al loro Cantando sotto la pioggia, e poi a Fred Astaire e Ginger Rogers in uno qualsiasi dei loro dieci film fatti insieme, alle piramidi di bicchieri riempiti di champagne nelle coreografie maestose di Busky Berkeley, a Charlie Chaplin, inquadrato in una gigantografia, fino ad arrivare a Nikola Tesla e alla lanterna magica. Nemmeno Woody Allen è esente da tutto questo. E non mancano Mary Poppins, la Disney, il melodramma, Casablanca, Gioventù bruciata (i due protagonisti lo vedono insieme al Rialto, storico cinema della Los Angeles dei tempi d’oro). Il regista ricostruisce oltre centoventi anni di cinema, americano, in particolare attraverso la forma del musical, e lo fa rendendo quella forma e quella costruzione moderna e antica, attraverso un modo di girare che ha cristallizzato il tempo in quello che fu e poi improvvisamente spezza quella magia con l'arida contemporaneità della tecnologia (pensiamo alla scena di ballo di tip tap al chiaro di luna, la soavità della musica di A lovely night interrotta dallo squillo dell'iPhone). Cadenzato nella malinconia delle forme del cinema muto pur essendo un musical, La la land  ha uno splendido soundtrack, di Justin Hurwitz, che ricorda tantissimo il commento musicale del cinema degli anni Venti dell’età del jazz, quello precedente al primo film sonoro, per l’appunto de Il cantante di jazz, il primo film parlato. Infatti, come già detto, si tratta in prima battuta proprio di un omaggio al suono e alla musica, e, come ricorda il catenaccio del titolo, è dedicato ai folli e ai sognatori, come i due protagonisti: Mia vuole fare l’attrice, ma lavora come cameriera nel bar degli studios della Warner, Sebastian è un musicista di jazz costretto a suonare Jingle Bells e roba simile nei ristoranti, ma per lui l’arte è una cosa pura e non vuole scendere a compromessi. Si incontrano, si piacciono, si amano, si struggono. Perché l’amore è messo a dura prova dalla realtà, e il famigerato compromesso di cui sopra è dietro l’angolo per entrambi.
Ryan Gosling ed Emma Stone vestono i panni dei due giovani che si incontrano à la A man loves a woman, come Fred Astaire e Ginger Rogers: sono bravi, ma lui balla meglio di lei e lei canta molto meglio di lui. Sono giovani e goffi, innamorati, bellissimi e dolenti, inseguono i loro sogni, ma per tutto c’è un prezzo da pagare e il finale, struggente, chiude piombando nella realtà, ma al tempo stesso restando sempre nel sogno, un po’ come Joseph Cotten e Jennifer Jones ne Gli amanti del sogno. Lui trasmette la consapevolezza del fallimento, lei la paura di esso. Entrambi ottimi, Emma un po’ più di Ryan.
Inutile dire che la confezione è perfetta, la fotografia che gioca con la luce del sole, i costumi con la varietà dei colori, la musica col tempo e le canzoni, in particolare City of Stars e Audition (The Fools who Dream), due dei momenti più alti dell’opera.
Ma… c’è un ma. Tutte queste emozioni restano distanti, fredde, in potenza, non arrivano. Forse per eccessiva perfezione, per il meccanismo troppo schematico della forma, forse perché anche quando Mia racconta con una canzone il dolore che l’ha portata a voler diventare un’artista, l'affetto per la zia attrice, lo spettatore, pur provando a commuoversi perché la malinconia è insita, è necessaria, è quasi l'aria che respira per un film come questo, c’è, lo vede dal di fuori. Forse perché l’empatia, vissuta e raccontata, è il tallone d’Achille di questa generazione e le persone rimarranno per sempre profondamente egoiste pur provando a raccontare l’amore col cinema e tante altre forme d’arte. Forse questo ci vuole dire davvero Chazelle: abbiamo talmente paura dei nostri sentimenti che li lasciamo fuori dalla porta, dentro di noi, e il rimpianto non viene detto, ma solo raccontato attraverso lo sguardo. Ma nessuno dice niente. Eppure lo spettacolo è ineccepibile, anche se la magia è quella degli anni Duemila, e non Venti, Trenta, Quaranta, Cinquanta, e soprattutto Sessanta del Novecento. E quindi è una magia spezzata. Sette Golden Globe su sette nomination, è già pronto a sbancare tutto agli Oscar. E lo farà.

Erminio Fischetti





La la land
La la land
Regia: Damien Chazelle
Interpreti: Ryan Gosling, Emma Stone, John Legend, J.K. Simmons, FinnWittrock, Callie Hernandez, Rosemarie DeWitt
Produzione: USA, 2016
Durata: 128’
Distribuzione: 01 Distribution, 28 gennaio 2017
Voto: 4/5



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