Nel 1993
Sarajevo è una città mortificata dai conflitti incessanti tra serbi e bosniaci. Amira è una piccola donna seria di mille speranze con
la passione per la musica. Galeotto Nevermind,
e una cigar box guitar, dono benedetto di un cugino fiammingo di origine
bosniaca, poi ceduto all’Islam e ora in carcere, a decidersi tra il rock e la
guerra santa. Si è allontanata dalla famiglia lei, che lo zelo di quel padre
padrone proprio non lo sopportava e ha conosciuto Jack, meglio detto Mozambik
l’Irlandese, suo amore spericolato, quello con la golf rossa, tutta di
cicatrici, ma ancora in piedi. Spacciatore, samaritano di beni di prima necessità,
ex galeotto, un monte di colpe da espiare.
Uomo dalle tante vite dolorose e audaci, uno di quelli
che si è arrangiato come poteva, perché un po’ te la sarai anche cercata, ma la
sorte non è stata per niente carina. Si è messo anche a fare da guida Jack,
agli inviati di guerra che transitano per l’Holiday Inn, o per ciò che ne
resta, e ha incontrato Carlo e Oscar, due fotoreporter italiani sulle tracce di
una mucca indiana dalle virtù chiaroveggenti, sopravvissuta indenne alle
macerie e alla distruzione. Oddio, una zebu gir mezza chiromante ci sarebbe pure
al giro, solo che quel tosto di Ivan il tabaccaio se la tiene cara cara,
nascosta in cortile. Nella sua casa troppo grossa con la fumeria d’oppio per
svoltare la giornata, il vecchio, carceriere all’occorrenza, ha segregato pure
un soldato serbo che ci è rimasto sotto con i funghetti allucinogeni. Chissà se
Marko, fanatico cecchino dei servizi segreti, pagherà il riscatto per riavere
quella testa di bronzo tra i suoi commilitoni. Intanto la band è al completo e Amira se la canta la speranza, folle suono
casbah che non piace agli sceriffi.
Al basso un nano ghiacciato tale Mustafa Setka, detto il colonnello, e alla
batteria Masne ex ballerino di kolo, ora
gigantesco percussionista. I fedelissimi
di Mozambik, un’orchestraccia di freaks senza strumenti, tracotante di vibra
alternativa.
Un’opera di frontiera,
popolare, misteriosa. Che oppone le scivolate ruvide del grunge al turbo folk
di marcia balcanica e d’intrattenimento nazionale. Mazzoni tiene assieme personaggi e storie e tutti i
sentimenti possibili. Batte il tempo con i pugni, distribuendo punti di vista e
prospettive, con mano sicura nel dosaggio del ritmo, nella combinazione dei
quadri che si sovrappongono a incrociarsi, mentre i luoghi della narrazione si
svuotano in braccio alla morte e nessun posto è sicuro. È il campo minato della Storia più recente, che salti in aria solo a
camminarci sopra e Sarajevo è una bestia da latte grossa e varia, spremuta da
tutte le parti, affamata, presa a morsi dalla violenza, terrorizzata. Ne vuoi
raccontare, glielo devi.
Fiati di vodka e polvere da sparo, cecchini invasati
per Barbra Streisand, umanità nelle retrovie che tiene botta tra urla di
dolore. Granate, allucinazioni, lamenti e nostalgie sotto spirito, esplosioni
di una primavera che vuole dire ancora la sua. Una follia. Sulla linea di
flusso e riflusso testuale, un cadenzato andirivieni sonoro rattoppa gli sgarri,
che pure se a una cosa non ci credi o non l’hai mai vista, non significa che
non esiste. Il bordello della guerra, un muggito che sopravvive alle raffiche
della Storia.
Amira e
l’ottimismo dei vent’anni. Voce grossa e schiena di bambina, ad annusare l’aria
come i cani, pure se l’odore è cattivo. Sulle spalle un giubbotto di cartone
antiproiettile e di emozioni che vanno su e giù. Amira e la possibilità. Vitalismo
liberato, che a Sarajevo tutto è possibile. Nata per essere assediata e così straordinaria.
Di lune alte in cielo e pallottole sfiorate, vagiti alcolici e carica
anfetaminica, chiaroscuri abbaglianti e psichedelia. Una sonata calda d’oppio,
in segno di pace, e poi ancora, topi preistorici, mucche spaziali, ghetto
blaster scaricati. E si fanno le canzoni, e passerà tutto prima o poi.
Il muggito
di Sarajevo è un riff sotto le bombe.
Carrozzone anarchico di fulminati, individui in preda, sussurratori di vacche,
puffi blu dell’Onu. Distorto e stirato, esaltante e radicale. Che stile,
ragazzi.
Erika Di Giulio
Il muggito di Sarajevo
Autore: Lorenzo Mazzoni
Edizioni: Edizioni Spartaco, 2016
pp. 252
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