Porto è una splendida città del Portogallo, tra le più importanti, grandi, popolose e celebri località lusitane, un luogo abbastanza grande per perdersi o evitarsi ma non troppo da impedire di cercare, e qualche volta riuscire nell’obiettivo, di ritrovarsi. Il mood della città è riprodotto in maniera magistrale dalla mano registica di Gabe Klinger, che è brasiliano e si vede lontano mille miglia dalla perizia con cui usa la macchina da presa, e che, muovendosi in uno spazio circoscritto ma in un tempo che attraverso cambiamenti di formato e grana dell’immagine fa immergere – benché il film non sia perfetto, ma comunque molto più che buono – lo spettatore nella mutevolezza del ricordo vagheggiato, iterando i punti di vista in una sorta di raffigurazione della ricerca del perduto amore, riconnettendo sempre col filo rosso della delicata e struggente passione il presente e le vite distanti, finanche ai margini, col primo e mai ripetuto incontro, racconta la bellissima storia di Mati e Jake. Lei è una dottoranda in archeologia che si muove per il Portogallo con un progetto di ricerca e ha una relazione con un professore. Lui si è ribellato, assieme alla sorella, una volta raggiunta un’età abbastanza matura, ai continui trasferimenti a causa del lavoro del padre, si adatta a ogni lavoro e quando la vede per la prima volta sta trasportando nello scavo con una carriola un cumulo di pietre. Lei ha trentadue anni, portati a dir poco splendidamente, lui ventisei e un aspetto un po’ provato dalla vita. Lei è sempre allegra, sorridente, un po’ pazza, a suo dire. Ha anche avuto dei problemi in tal senso. Come lui, del resto. Con gli occhi velati di nostalgia. Si incontrano di nuovo, dopo lo scavo, e poi in un bar. La prima volta è caso, la seconda coincidenza, la terza destino. Lei, Mati, ha bisogno di un aiuto per il trasloco. Dagli scatoloni scaturisce una notte di passione senza pari la cui rimembranza si anniderà per sempre nella mente di entrambi, che ne ripercorrono passo dopo passo i luoghi che, come fossero epigoni di Cupido e delle sue mitologiche frecce, l’hanno favorita. Ricorda formalmente a tratti anche Mommy, ma soprattutto Dieci inverni, The disappearance of Eleanor Rigby, tanto cinema indipendente americano (Linklater su tutti) ed europeo: delicatissima ed emozionante, ben scritta, ben diretta e recitata, che intreccia piani temporali e sentimenti con tocco elegante, è l’ultima pellicola (in concorso, ed è senza dubbio tra le più papabili per la vittoria, alla trentaquattresima edizione, attualmente in svolgimento, del Torino Film Festival), e il dolore si fa davvero enorme per quel che poteva essere e non potrà più, girata da Anton Yelchin, mai così bravo. Da non perdere. La nuova superlativa definizione di malinconia.
Erminio Fischetti
Porto
Regia: Gabe Klinger
Interpreti: Anton Yelchin, Lucie Lucas
Produziona: Portogallo. USA, Francia, Polonia, 2016
Durata: 75'
Voto: 4/5