Daniel Blake è un gentiluomo, di quelli che non si vedono più, è un carpentiere, che ha avuto un gravissimo infarto e per questo motivo gli è stato imposto dai suoi medici di non lavorare più. Per fare questo deve farsi approvare un’indennità mensile per malattia. E deve passare per la burocrazia britannica, che al confronto quella italiana – per certi versi – è meno kafkiana.
Di uomini come Daniel Blake sembra non ce ne siano, ma invece ce ne sono, di quelli che sanno fare tutto con le mani tranne utilizzare il mouse di un computer, di quelli che sanno dire una parola gentile e non passano indifferenti davanti alle disgrazie degli altri; sua moglie, che ha curato per tutta la vita, è morta, non ha più nessuno. La società però sembra avere cancellato dalla memoria le persone come lui, perché ora che non sta più bene e lui cerca di spiegare il perché non è ascoltato, perché le sue parole non entrano dentro il quadratino di una casella. Così, per avere quello che gli spetta, sbatte tutti i giorni contro il muro di gomma dello Stato, che gli dice che lui non è inabile al lavoro, anche se glielo hanno certificato fior fior di cardiologi, ma gli impiegati della cassa assistenziale dicono che in base alle risposte che ha dato lui è abile, può lavorare, perché anche se il suo cuore è malatissimo può indossare un cappello da solo e comporre i numeri sulla tastiera del telefono! Ma il suo cuore, come dice lui stesso, è lontano dalle sue mani e dalle sue dita e dai suoi piedi. È in un altro punto del corpo.
Ad una donna sola con due figli piccoli che conosce mentre si trova in quel posto infernale succede anche di peggio: viene multata perché è arrivata tardi a ritirare il sussidio. Pian piano si aiuteranno l’un con l’altro, ma lo Stato del welfare, tradito dalla Thatcher e da tutti coloro che sono venuti dopo di lei, fa tutto fuorché aiutare i cittadini in difficoltà, anzi gliele aumenta, probabilmente per distruggere anche l’ultimo briciolo di dignità. Ed è questa la cosa migliore di Daniel Blake, lui non è forte coi deboli e debole coi forti, come fanno tutti, lui ha una parola gentile e nel suo piccolo fa quel che può. È questo forse il messaggio più grande: la capacità di quest’uomo di essere migliore dello Stato che (non) lo rappresenta e dare speranza col suo comportamento, l’altruismo, l’umorismo e la dignità, che non dovrebbero essere parole passate di moda, ma tramandate e insegnate e non prese in giro.
A dirigere un’opera del genere non poteva che essere un maestro del cinema d’impegno come Ken Loach, classe 1936, 80 anni quest’anno, per l’appunto, e un’etica per il prossimo e un rispetto per la dignità, che trasla nel suo stesso protagonista, che non si vedono più come dicevamo, figlio di un cinema nel quale si è formato e a cui lui stesso ha dato vigore, il free cinema degli angry young men, degli anni Sessanta nel contesto delle lotte operaie inglesi, di una democrazia e lotta di classe nel paese per eccellenza del classismo. I, Daniel Blake, già il titolo sintetizza tutto il film, ovvero l’affermazione di sé stessi e dei propri diritti, della propria dignità (questa parola chi scrive continua a ripeterla non perché non ne trova altre, ma per ricordarla a chi legge) racconta i gironi dell’inferno dei moduli da compilare, delle schede, delle attese al telefono per una voce registrata perché l’operatore non c’è mai, per ottenere quello che spetta e che non si ottiene perché l’era dei computer ci ha reso tutti delle macchine senza empatia e senza sentimenti e ci si sorprende del contrario, magari anche di un film così, che però ha scosso la giuria del Festival di Cannes e ha scosso moltissime persone che lo hanno visto, compreso chi scrive questa recensione. Ed è un film da vedere perché non solo racconta tutto questo, con tutta una serie di sotto-storie terribili e interessanti, ma la capacità del regista e del fido collaboratore che sceneggia Paul Laverty non è quella di essere ingenui verso la società che descrivono perché raccontano un pezzo di verità importante. Dopo il Belgio dei fratelli Dardenne in e la Francia di Stéphane Brizé con, torna il mondo del lavoro inglese di Ken Loach.
Erminio Fischetti
I, Daniel Blake
Regia: Ken Loach
Interpreti: Dave Johns, Hayley Squires, Sharon Percy, Briana Shann
Produzione: UK/Francia/Belgio, 2016
Durata: 100’
Distribuzione: Cinema, 21 ottobre 2016
Voto: 4,5/5
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