"Un padre, una figlia" di Cristian Mungiu: cinema rumeno in primo piano

Negli ultimi anni, il cinema rumeno si sta imponendo sempre di più nel panorama cinematografico internazionale. Ne è stato ricevuto un grande riscontro al Festival di Cannes, la vetrina per eccellenza della stagione filmica: Sieranevada di Cristi Puiu e Un padre, una figlia di Cristian Mungiu infatti, in questa sede, hanno ottenuto forti riscontri dalla critica, tanto che quest’ultimo ha vinto anche il premio per la migliore regia, ex-aequo con il meno apprezzato Personal Shopper di Olivier Assayas. Ed in effetti il cinema rumeno è stato sdoganato proprio con le figure di Puiu e soprattutto di Mungiu, autori che hanno fotografato un Paese di contraddizioni e mancanze che sta facendo i conti con un passato dolorosissimo che pesa su un futuro che fatica a decollare. Un padre, una figlia, arriva dopo la Palma d’Oro a Cannes di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni e Oltre le colline (sempre a Cannes premiato per la migliore sceneggiatura e per le due attrici protagoniste Crstina Flutur e Cosmina Stratan) ed è la summa, il più compiuto dei tre. Racconta la storia di Romeo, un medico che è rimasto nel suo Paese alla fine del comunismo 25 anni fa sperando in un futuro migliore e con questo ha dovuto fare i conti. Per sua figlia, brava e dotata, vede un futuro in Inghilterra dove ha ottenuto una borsa di studio in psicologia a Cambridge per meriti scolastici.
Il sogno purtroppo, però, potrebbe andare in frantumi perché il giorno prima degli esami di stato viene aggredita da uno sconosciuto.
Il trauma psicologico e un braccio rotto, che impedisce alla ragazza di scrivere velocemente, potrebbero comprometterne l'avvenire anche perché la follia di un sistema malato e la burocrazia portano il padre a dover compiere azioni molto distanti dall'etica che ha insegnato alla figlia.

Eppure il tempo lo ha già portato a non essere il modello che crede di essere agli occhi della figlia: è sposato con una bibliotecaria più che altro depressa, che tradisce con una donna, in fondo stanca di essere “l’altra”, che ha un figlio piccolo con problemi di pronuncia che non vuole mandare nella scuola dove lei insegna perché se va in una scuola migliore per imparare l’inglese lui può sperare in qualcosa di meglio.
Ma a quella scuola (pubblica per inciso) non ci può andare perché pur non essendo cominciate ancora le iscrizioni i posti disponibili sono già esauriti. Hanno tutti ragione e hanno tutti torto, persino il corrotto responsabile delle dogane che insiste per dare una bustarella al dottore prima di operarlo perché si sente più sicuro, in questo splendido film che è costruito come un dramma da camera, ma ha l’ampiezza dei luoghi e degli spazi, della casa, del commissariato di polizia, degli uffici, della scuola, dell’ospedale, della biblioteca. Gli spazi “angusti” del nostro sistema societario, che vengono presi in esame uno per uno attraverso la figura di quest’uomo disperato, che a tratti sembra una di quelle madri terribili che vogliono che le figlie sfondino nel mondo dello spettacolo perché non ci sono riuscite loro, così ben raccontate nel cinema hollywoodiano. Qui però è un padre che sa che per la figlia in una società fondata sulle raccomandazioni, sul mutuo scambio di favori, dove è proprio il sistema pubblico e politico ad averlo costruito, non c’è spazio. Non potrebbe sopravvivere ad un sistema così perché lui le ha insegnato che se ci si impegna si può volare alto (in qualunque altro posto, ma non in Romania).

Bisogna andare via, ma poi la madre di lui, che ha vissuto in un altro mondo ancora gli ricorda che in fondo se tutti se ne vanno quel posto nessuno lo cambierà mai e al diniego di lui che le ricorda che è rimasto e la sua generazione non ha cambiato nulla, lei da saggia le risponde che hanno fatto quello che hanno potuto. E forse sta tutta qui la chiave di lettura dell’opera di Mungiu ed ha un’anima kafkiana per come è congegnato, quindi è alta letteratura che diventa altissimo e puro cinema, composto di qualità estetica e di contenuti, in primis dove si trova la linea del bene e del male, ma anche la farraginosità e l’ipocrisia, nonché la mancanza di empatia nei confronti del prossimo. E in fondo basterebbe un minimo di buon senso per far andare le cose come dovrebbero. Con una recitazione di ottimo livello (in particolare il ritratto della figura paterna di Adrian Titieni, ma anche la moglie e la figlia interpretate rispettivamente da Lia Bugnar e Maria-Victoria Dragus gli tengono testa), dialoghi perfetti e una regia - ça va sans dire – magistrale, un film la cui drammatizzazione è costruita in crescendo fino a trovare, nel bellissimo e in fondo commovente finale, una traccia di speranza nel nostro mondo nichilista, abbrutito, egoista dove i genitori possono – e alle volte devono – imparare anche dai figli.

Erminio Fischetti







Un padre, una figlia
Bacalaureat
Regia: Cristian Mungiu
Interpreti:  Adrian Titieni, Maria-Victoria Dragus, Rares Andrici, Lia Bugnar, Malina Manovici
Produzione: Romania, 2016
Durata: 128’
Distribuzione: Bim, 30 agosto 2016
Voto: 4,5/5



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