Che titolo strano, il mnemomista! E' il nome che prende S. quando decide di trasformare la sua straordinaria capacità di ricordare, in mestiere. Si esibisce su strampalati palcoscenici, dando prova di osservare i dettagli più minuti, trattenerli, e poi restituirli tra lo stupore generale.
Ma prima d' ora S. era stato il primo violino in un' orchestra, che ha dovuto abbandonare perché la sua mente troppo affollata non gli consentiva più di distinguere le note. Ad esse si aggiungevano macchie di colore e stimoli altri che non sapeva più lasciar andare: sensazioni percezioni parole in un intreccio della mentre (invasivo) che lo porterà alla follia.
"I profumi e i colori e i suoni si rispondono come echi lunghi che di lontano si confondono in unità profonda ...", recitano le " Corrispondenze" di Baudelaire, che rendono poeticamente la magica esperienza della sinestesia. Quella di S. non tende ad unità, piuttosto ad una frammentazione che sfianca e anche il film un po' sfinisce.
Comincia con il protagonista (Sandro Lombardi) che parla alla macchina da presa per un tempo lungo, con il viso inquadrato molto da vicino ma non il mento; oppure ripreso di profilo, un profilo interrotto ad aumentare l'ansia che già ci trasmette il suo racconto (se di racconto si può parlare).
Il flusso di coscienza continua durante il film, s' interrompe e poi continua, non offrendoci mai un tempo di narrazione che possa almeno per un po' rasserenarci. Anche quando S. e' dallo psichiatra, L. (Roberto Herlitzka), le sedute sono troppo brevi e inefficaci, se e' vero che la relazione terapeutica tra i due e' durata trent'anni.
La storia infatti e' tratta da ciò che il famoso neuropsichiatra Alexandr Lauriya ha raccontato in "Un piccolo libro di grande memorie" nel 1965. Nel film il tempo è del tutto sospeso in un passato generico e in uno spazio che potrebbe essere ovunque, come l' inconscio che di tempo e di spazi non ne ha, e che sovrappone reale e immaginario, lo confonde, ne altera i confini. In una scena di inseguimento notturno sembra di vedere da un momento all' altro le statue di De Chirico, gli orologi molli di Dali', mele e colombe di Magritte ad annullare i volti umani.
Tutto si fa surreale a rendere la prossimità al delirio. "Sono arrivato a un punto di saturazione. Devo pulirmi la testa, bruciare i quaderni di cose inutili. Cancellare ciò che non serve". Una metafora certo della nostra vita così piena e della nostra incapacità di fare il vuoto. Ma quanta fatica per uscire dal cinema con questa lezione: stimoli da cogliere, frasi una sopra l' altra da assimilare, simboli da decodificare. Che desiderio di sobrietà, dopo queste immagini, e di sottrazione!
Il film, del 2000, e' stato proiettato al MIC di Milano in occasione della mostra "Studio Azzurro, Immagini sensibili" (Palazzo Reale, dal 9 aprile al 4 settembre). Di Studio Azzurro, il regista, Paolo Rosa, scomparso nel 2013, e' stato tra i più significativi fondatori .
Margherita Fratantonio
Ma prima d' ora S. era stato il primo violino in un' orchestra, che ha dovuto abbandonare perché la sua mente troppo affollata non gli consentiva più di distinguere le note. Ad esse si aggiungevano macchie di colore e stimoli altri che non sapeva più lasciar andare: sensazioni percezioni parole in un intreccio della mentre (invasivo) che lo porterà alla follia.
"I profumi e i colori e i suoni si rispondono come echi lunghi che di lontano si confondono in unità profonda ...", recitano le " Corrispondenze" di Baudelaire, che rendono poeticamente la magica esperienza della sinestesia. Quella di S. non tende ad unità, piuttosto ad una frammentazione che sfianca e anche il film un po' sfinisce.
Comincia con il protagonista (Sandro Lombardi) che parla alla macchina da presa per un tempo lungo, con il viso inquadrato molto da vicino ma non il mento; oppure ripreso di profilo, un profilo interrotto ad aumentare l'ansia che già ci trasmette il suo racconto (se di racconto si può parlare).
Il flusso di coscienza continua durante il film, s' interrompe e poi continua, non offrendoci mai un tempo di narrazione che possa almeno per un po' rasserenarci. Anche quando S. e' dallo psichiatra, L. (Roberto Herlitzka), le sedute sono troppo brevi e inefficaci, se e' vero che la relazione terapeutica tra i due e' durata trent'anni.
La storia infatti e' tratta da ciò che il famoso neuropsichiatra Alexandr Lauriya ha raccontato in "Un piccolo libro di grande memorie" nel 1965. Nel film il tempo è del tutto sospeso in un passato generico e in uno spazio che potrebbe essere ovunque, come l' inconscio che di tempo e di spazi non ne ha, e che sovrappone reale e immaginario, lo confonde, ne altera i confini. In una scena di inseguimento notturno sembra di vedere da un momento all' altro le statue di De Chirico, gli orologi molli di Dali', mele e colombe di Magritte ad annullare i volti umani.
Tutto si fa surreale a rendere la prossimità al delirio. "Sono arrivato a un punto di saturazione. Devo pulirmi la testa, bruciare i quaderni di cose inutili. Cancellare ciò che non serve". Una metafora certo della nostra vita così piena e della nostra incapacità di fare il vuoto. Ma quanta fatica per uscire dal cinema con questa lezione: stimoli da cogliere, frasi una sopra l' altra da assimilare, simboli da decodificare. Che desiderio di sobrietà, dopo queste immagini, e di sottrazione!
Il film, del 2000, e' stato proiettato al MIC di Milano in occasione della mostra "Studio Azzurro, Immagini sensibili" (Palazzo Reale, dal 9 aprile al 4 settembre). Di Studio Azzurro, il regista, Paolo Rosa, scomparso nel 2013, e' stato tra i più significativi fondatori .
Margherita Fratantonio