Per una volta il premio del pubblico e quello della giuria sono andati
d’accordo e al Sundance quest’anno ha vinto una commedia dolceamara, più amara
che dolce in realtà: Me & Earl &
the Dying Girl, in Italia presentato al Festival di Torino e dal 3 dicembre
in sala con il più banale Quel fantastico
peggior anno della mia vita, che rende l’idea, ma non come il titolo originale.
A dirigerlo un autore quasi esclusivamente televisivo, Alfonso Gomez-Rejon,
della scuderia di Ryan Murphy, per il quale ha diretto parecchi episodi di Glee e American Horror Story. Rispetto ai canoni di Murphy questo film è
fedelissimo ai toni del cinema propriamente detto “da Sundance” (e infatti lì
vi è passato e ha pure vinto ben due premi), spesso criticati perché opere
indipendenti create a tavolino per piacere ad un pubblico metropolitano
sofisticato e ai cosiddetti radical chic. Può essere anche vero, ma solo perché
generalmente le tematiche, la struttura del racconto e l’ambientazione sono
piuttosto simili: in realtà si dovrebbe parlare più di genere cinematografico a
sé stante, ovvero di una sorta di dramedy
con sfondo borghese, diretto a quel medesimo pubblico, che di cinema
indipendente, dove la missione è – meglio, era - realizzare cinema
d’avanguardia nei contenuti tematici e/o artistici e a basso budget. C’è da
dire inoltre che, al di là delle polemiche di critica e/o di apprezzamento dei
puristi, il cinema indipendente si è molto allontanato dalla concezione che è
nata alla fine degli anni Cinquanta a New York e in gran parte concepita da
John Cassavetes (proprio in questi giorni Gena Rowlands, sua vedova, musa e prima
collaboratrice, nonché attrice di straordinario talento, ha vinto un Oscar alla
carriera: tardivo, e probabilmente anche per omaggiare il compianto marito, che
mai ne vinse uno e che al quale purtroppo non potevano più darlo). Eppure
ancora oggi la qualità di scrittura, regia e recitazione resta pur sempre molto
alta e interessante. Anche perché questo cinema si interessa ormai quasi da
solo – specie rispetto alle major e ai blockbuster - alle storie tout-court prediligendo uno stile sobrio, con
vicende più intimiste e personali, stile che in passato, vediamo ad esempio
negli anni Settanta e Ottanta, sulla prima e sulla seconda onda della New
Hollywood era viceversa di competenza anche delle grandi case di distribuzione.
Basato sul romanzo di Jesse Andrews (in questi giorni edito da Einaudi in
occasione dell’uscita del film), Quel
fantastico peggior anno della mia vita racconta le vicende di Greg, un
ragazzo all’ultimo anno di liceo, che ha trascorso i quattro precedenti
passando inosservato fra tutti i gruppi della giungla scolastica, così da non
prendere posizione e far sì che quei terribili semestri potessero essere
superati in maniera indenne. Unico compagno più stretto, che conosce dai tempi
della scuola materna, è Earl, che chiama “collaboratore”. Con lui, oltre a
passare nella stanza del pluritatuato professore di storia l’ora del pranzo,
gira remake amatoriali dei migliori film della storia del cinema, da Arancia meccanica a Un uomo da marciapiede fino ai 400
colpi del leggendario Truffaut. Insomma tutti i più illustri film europei e
della New Hollywood sopra citata. Un giorno però sua madre, una fricchettona
molto attenta ai sentimenti degli altri, ma non del figlio, lo obbliga a fare
visita ad una sua compagna, Rachel, malata di leucemia. Controvoglia il ragazzo
obbedisce: la giovane, inizialmente infastidita perché non vuole essere
compatita da nessuno, rifiuta la sua vita, ma pian piano tra i due nasce
un’amicizia forte e sincera. Greg, spinto sempre da una compagna di scuola,
decide di realizzare, con l’aiuto di Earl, un film per Rachel…
Delicato, intenso, ironico e pieno di riferimenti cinematografici più o
meno voluti, la pellicola di Gomez-Rejon ha il pregio di prendere in giro
proprio quei film indie ai quali fa riferimento, ed è molto sobrio nel trattare
il dolore proprio per la capacità di sapere raccontare un personaggio il cui
carattere è quello di non voler essere mai in prima linea. Lui diventa una
costante presenza per Rachel, inizialmente sì costretto, ma col tempo lo starle
accanto diventa una sua precisa scelta. Questo film non tratta della malattia,
ma del sentimento della modestia, in un’era in cui tutti vogliono apparire e
sembrare empatici solo perché è corretto farlo. Greg invece non vuole apparire
in questo modo ed ostenta un’indifferenza che non possiede perché è l’unico a
capire dello “spazio” emotivo del quale una persona malata ha bisogno, della
dignità con la quale merita di essere trattata. Fra adulti sopra le righe, che esibiscono
sentimenti di condivisione – quei radical chic ai quali facevamo riferimento
prima -, Greg è l’unico a capire la verità, è l’unico a capire Rachel, a costo
di mettersi da parte per se stesso. Adattato in stato di grazia dallo stesso
autore del romanzo (e si vede, perché ha una struttura molto letteraria), è
elegante e colorato nella messa in scena, pieno di citazioni e recitato
benissimo dal protagonista Thomas Mann (ironia della sorte viene citato anche
quel Morte a Venezia di Luchino
Visconti nei rifacimenti del cinefilo ed espertissimo protagonista, film tratto
appunto dal libro del suo più noto e immortale omonimo), dalla bellissima
Olivia Cooke (Rachel), e da Rj Cyler. Nel cast “adulto” abbiamo attori molto
noti in campo televisivo come Connie Britton, Molly Shannon, Nick Offerman, Jon
Bernthal. Che sia un po’ furbetto il film è probabile, che sia bello è sicuro.
Erminio Fischetti
Quel fantastico peggior anno della mia vita
Me &Earl e and the Dying
Girl
Regia: Alfonso Gomez-Rejon
Interpreti: Thomas Mann,
Olivia Cooke, RJ Cyler, Connie Britton, Nick Offerman, Molly Shannon, Jon
Bernthal
Durata: 104’
Distribuzione italiana: Fox, 10 dicembre 2015