L’adolescenza difficile il cinema francese ha sempre saputo raccontarla.
Cominciò tutto con I quattrocento colpi.
Era il 1959 e con quel film François Truffaut metteva in scena gli anni della
sua formazione. Non aveva ancora trent’anni. Era quello il primo di una serie
di suoi capolavori. Il manifesto della Nouvelle Vague. Vinse il premio per la
miglior regia al Festival di Cannes, la vetrina del miglior cinema mondiale,
che a volte però può prendere qualche cantonata, un problema in genere saturato
con il film d’apertura. È successo nel 2014 con un brutto Grace di Monaco, di Oliver Dahan (era suo La vie en rose, che consacrò a livello internazionale Marion
Cotillard), interpretato da una Nicole Kidman sicuramente non in stato di
grazia. È successo anche quest’anno, meno rispetto al precedente, con A testa alta (La tête haute) di
Emmanuelle Bercot.
Le storie sul tema dell’adolescenza sembrano somigliarsi un
po’ tutte salvo poi essere tutte uniche e differenti. Malony è un ragazzino che
ha perso il padre piccolissimo, la madre ha avuto un figlio da un altro uomo, è
una sbandata sciroccata, non vuole realmente tenerlo con sé. Quando è molto
piccolo dopo essere stata convocata da una giudice e dagli assistenti sociali
dice loro che il bambino è impossibile e se ne va. In realtà in quel momento il
bambino sta giocando con le costruzioni. Sembra piuttosto tranquillo. Comincia
così la vita di Malony. Dieci anni più tardi lo vediamo da quella stessa
giudice perché ha rubato una macchina e ci ha fatto un giro guidando senza
patente e pericolosamente. La madre è ancora disperata perché il ragazzo non
conosce la disciplina. Questa volta ha ragione. Ma se ti dicono da quando sei
nato che sei una persona impossibile finisci col diventarlo e crederci. Malony
ora ha sedici anni. Rifiuta la scuola, rifiuta qualsiasi cosa. La giudice così
gli trova un altro educatore che lo segua (è previsto nell’ordinamento francese
per i ragazzi difficili): Yann, anche lui ha un passato da dimenticare, ma
nemmeno lui sembra riuscire a domare il ragazzo, che viene perciò mandato in
una struttura correttiva dove conosce la figlia, sua coetanea, di una delle
insegnanti. Lei si innamora del ragazzo, lui all’inizio non sembra ricambiare.
Malony ne combina ancora, ancora e ancora fino a quando non troverà la sua
pace. La Bercot costruisce un film sulla ribellione, sulla violenza
adolescenziale, ma soprattutto sul sistema sociale francese, racconta di un
giudice minorile, di educatori, assistenti sociali, racconta del welfare
francese, di come è strutturato. Di fatto A
testa alta vuole essere un film francese estremamente contemporaneo sul
proprio Paese, sui difetti del sistema, ma anche sul valore della gente che vi
lavora, sull’empatia che ci mette quando si trova di fronte a situazioni di
questo genere. La giudice, a conti fatti, ha fatto da madre al ragazzo, o forse
da nonna, più della madre stessa, lo ha indirizzato, lo ha aiutato, a volte
sbagliando, a volte facendo meglio, a volte semplicemente quel che può. Lui
sembra incorreggibile. Si succedono una serie di eventi, tanti, che soffocano
la narrazione, che sembra ripetitiva, non riesce a prendere una piega precisa e
distintiva, non si sviluppa, non sviluppa il personaggio del ragazzino che non
evolve fino alla virata finale, repentina, forse troppo.
A testa alta spesso ha dei dialoghi improponibili, fa fare cose ai
suoi personaggi, specie quelli che rappresentano lo Stato, che forse non
farebbero, fa provare loro dei sentimenti che forse non proverebbero. Forse. O
forse sì. C’è qualcosa di terribilmente incompiuto nel film, ma racconta una
storia, fittizia solo in apparenza, perché di vicende così ce ne sono tante in
giro, e a volte finiscono bene. Ma il finale non è unico, procede ogni giorno
della vita. E di finali il cinema francese ce ne ha raccontati tanti.
Malinconici, drammatici, positivi. E vogliamo ricordare che, anche se è
l’esempio migliore e più noto, in realtà non è cominciato tutto col succitato I quattrocento colpi, ma già nel 1925 –
e sicuramente anche prima - Julien Duvivier aveva affrontato l’infanzia e
l’adolescenza negata in Pel di carota,
da un testo di Jules Renard, quando non c’erano ancora giudici minorili,
educatori, assistenti sociali, quando ancora purtroppo i figli e i bambini
erano una proprietà e tutti ne facevano quel che volevano. E loro e nessuno
poteva farci nulla se erano maltrattati, seviziati, non amati. Era terribile e
questo il cinema francese già lo raccontava. E non smetterà di farlo. Probabilmente
mai, basti vedere l’ancora inedito Une
enfance dello scrittore e regista Philippe Claude, passato per la festa del
cinema di Roma, un film imperfetto con però alcuni frammenti realmente sublimi.
Erminio Fischetti
A testa alta
La tête haute
Regia: Emmanuelle Bercot
Interpreti: Catherine Deneuve, Rod Paradot, Benoît Magimel, Sara Forestier,
Diane Rouxiel, Elizabeth Mazev
Produzione: Francia, 2015
Durata: 119'
Distribuzione italiana: Officine Ubu, 19 novembre 2015
Voto: 2/5