Dal 1931 sono passati ben 84 anni. A quell’epoca a Hollywood fu distribuita una pellicola dal titolo Il campione, diretta dall’ottimo King Vidor. Quel film racconta la storia di un boxeur alcolizzato in declino, che cerca di risalire la china, e del suo adorante figlioletto, che di fatto si occupa di lui. Strappalacrime dell’epoca, fu uno dei maggiori successi della stagione e si conquistò ben due premi Oscar, uno per il protagonista Wallace Beery e l’altro per la sceneggiatura originale, che all’epoca, in barba a tutti i cliché, era stata scritta da una donna, Frances Marion, che racconta di un mondo e di un rapporto estremamente maschili. È anche vero che all’inizio degli anni Trenta erano più le donne degli uomini, forse, gli sceneggiatori, e la Marion ne era la capofila, insieme a Bess Meredyth, Adela Rogers St. John e Sarah Y. Mason.
Lei metteva in luce con i propri copioni tematiche sociali in piena crisi economica e soprattutto figure maschili in luoghi maschili: un altro esempio è Carcere, dell’anno prima, diretto dal marito George W. Hill e altro Oscar alla sceneggiatura. De Il campione è sicuramente più noto alla memoria odierna un melensissimo remake di Franco Zeffirelli del 1979 con Jon Voight e Faye Dunaway, a dimostrazione che il genere cinematografico del melodramma sportivo specificamente dedicato alla boxe ha avuto una vita lunga e redditizia. Ha infatti generato una serie di pellicole ormai entrate nella nostra memoria – Il grande campione, Rocky, Toro scatenato, Million Dollar Baby, per citare solo le più note – che ripropongono l’essenza del sogno americano e della redenzione. Pertanto Southpaw, fatica registica di Antoine Fuqua, celebre soprattutto per aver fatto prendere il secondo Oscar a Denzel Washington con il poliziesco Training Day dell’ormai lontano 2001, è un’opera tutta concentrata su questo binomio narrativo e che del film scritto da Frances Marion sembra rubare l’essenza del racconto: non gli stimoli della scrittura però, d’altronde son passati più di ottant’anni nel frattempo. Billy “The Great” Hope è un pugile che si è fatto da solo, è vissuto in un orfanotrofio, dove ha conosciuto l’amore della sua vita, la sua futura moglie, e che è il suo unico sostegno morale e psicologico. Campione dei pesi massimi leggeri, è un “southpaw”, un pugile mancino. È in vetta al successo, è ricco, ha anche una figlia che ama (molto brava la piccola Oona Laurence), fino a quando una disgrazia lo porterà molto in basso sia economicamente che umanamente. Rischierà di perdere ogni cosa, anche un po’ della sua dignità. Sta a lui rimontare, riconquistare tutto ciò che gli appartiene... Un film già visto, per certi versi ruffiano, costruito interamente sui toni della parabola della redenzione, ma Southpaw trova nella prova di Jake Gyllenhaal, essenziale, cruda, perfettamente costruita in equilibrio fra l’incapacità di sapere gestire i sentimenti e la potenza del corpo, sofferto, acciaccato, sanguinante, fatto letteralmente a pezzi, la vera chiave del film, che è appunto il realismo che si cela dietro le luci del ring. In particolare poi nella prima parte sottolinea il volto di un’America gratuitamente violenta: è toccato anche il tema delle armi, in questi giorni così scabrosamente alla ribalta. L’attore regge il film in gran parte sulle sue spalle, nonostante non venga mai perso il ritmo incalzante del racconto, che mantiene il crescendo drammatico fino ad essere catalizzato nel climax finale del combattimento canonicamente lungo, sofferto, montato in stato di grazia. C’è poi tutto il resto che è tipico del genere, la morte, l’allenatore che lo porta sulla retta via, la presa di coscienza, l’amicizia, il tradimento, l’amore… e la capacità di trascinare lo spettatore.
Erminio Fischetti
Southpaw
Regia: Antoine Fuqua
Interpreti: Jake Gyllenhaal , Forest Whitaker, Naomie Harris, Curtis “50 Cent” Jackson, Oona Laurence, Rachel McAdams
Produzione: USA, 2015
Durata: 124’
Distribuzione: 01, 2 settembre 2015
3/5
Lei metteva in luce con i propri copioni tematiche sociali in piena crisi economica e soprattutto figure maschili in luoghi maschili: un altro esempio è Carcere, dell’anno prima, diretto dal marito George W. Hill e altro Oscar alla sceneggiatura. De Il campione è sicuramente più noto alla memoria odierna un melensissimo remake di Franco Zeffirelli del 1979 con Jon Voight e Faye Dunaway, a dimostrazione che il genere cinematografico del melodramma sportivo specificamente dedicato alla boxe ha avuto una vita lunga e redditizia. Ha infatti generato una serie di pellicole ormai entrate nella nostra memoria – Il grande campione, Rocky, Toro scatenato, Million Dollar Baby, per citare solo le più note – che ripropongono l’essenza del sogno americano e della redenzione. Pertanto Southpaw, fatica registica di Antoine Fuqua, celebre soprattutto per aver fatto prendere il secondo Oscar a Denzel Washington con il poliziesco Training Day dell’ormai lontano 2001, è un’opera tutta concentrata su questo binomio narrativo e che del film scritto da Frances Marion sembra rubare l’essenza del racconto: non gli stimoli della scrittura però, d’altronde son passati più di ottant’anni nel frattempo. Billy “The Great” Hope è un pugile che si è fatto da solo, è vissuto in un orfanotrofio, dove ha conosciuto l’amore della sua vita, la sua futura moglie, e che è il suo unico sostegno morale e psicologico. Campione dei pesi massimi leggeri, è un “southpaw”, un pugile mancino. È in vetta al successo, è ricco, ha anche una figlia che ama (molto brava la piccola Oona Laurence), fino a quando una disgrazia lo porterà molto in basso sia economicamente che umanamente. Rischierà di perdere ogni cosa, anche un po’ della sua dignità. Sta a lui rimontare, riconquistare tutto ciò che gli appartiene... Un film già visto, per certi versi ruffiano, costruito interamente sui toni della parabola della redenzione, ma Southpaw trova nella prova di Jake Gyllenhaal, essenziale, cruda, perfettamente costruita in equilibrio fra l’incapacità di sapere gestire i sentimenti e la potenza del corpo, sofferto, acciaccato, sanguinante, fatto letteralmente a pezzi, la vera chiave del film, che è appunto il realismo che si cela dietro le luci del ring. In particolare poi nella prima parte sottolinea il volto di un’America gratuitamente violenta: è toccato anche il tema delle armi, in questi giorni così scabrosamente alla ribalta. L’attore regge il film in gran parte sulle sue spalle, nonostante non venga mai perso il ritmo incalzante del racconto, che mantiene il crescendo drammatico fino ad essere catalizzato nel climax finale del combattimento canonicamente lungo, sofferto, montato in stato di grazia. C’è poi tutto il resto che è tipico del genere, la morte, l’allenatore che lo porta sulla retta via, la presa di coscienza, l’amicizia, il tradimento, l’amore… e la capacità di trascinare lo spettatore.
Erminio Fischetti
Southpaw
Regia: Antoine Fuqua
Interpreti: Jake Gyllenhaal , Forest Whitaker, Naomie Harris, Curtis “50 Cent” Jackson, Oona Laurence, Rachel McAdams
Produzione: USA, 2015
Durata: 124’
Distribuzione: 01, 2 settembre 2015
3/5