Lo ha detto oramai in tutte le interviste, Nanni Moretti, in televisione, sui giornali, ed ora anche all’anteprima di Roma (in diretta con il cinema Anteo di Milano). Lo ha detto e lo ha ripetuto che in quest’ultimo film ha voluto proiettare tutte le sue inadeguatezze, e i disagi, sul personaggio di Margherita Buy, perché gli andava bene così. Voleva fosse una donna, una donna regista, a vivere lo scollamento con il mondo, che gli appartiene e che con l’età non accenna a diminuire.
Si racconta all’anteprima di Mia madre, in maniera sobria e tranquilla, tanto da offuscare il tono delle domande dei giornalisti, che insistono con i loro interventi intellettualistici. Tanto più la domanda è contorta e narcisisticamente teorica, tanto più la risposta è lieve. “Non sopporto la retorica” fa dire a Margherita Buy nel film, e questo Nanni Moretti sul palco è proprio così, estremamente antiretorico. Somiglia moltissimo al personaggio di Giovanni, fratello della Buy nella finzione, ripreso dalla morte annunciata della madre (Giulia Lazzarini), fino al momento della morte effettiva.
Della sua vita privata non sappiamo nulla, perché non lo vediamo mai fuori dall’ospedale, se non nel momento in cui si licenzia, non potendo sostenere il peso del lavoro in aggiunta alla malattia della madre. Ma è lì, è presente, con la sua voce bassa e pacata, i gesti composti, anche nei momenti in cui costringe la sorella al bagno di realtà che lei vorrebbe evitare, e il tono affettuoso con cui pronuncia il suo nome: Margherita. Bella l’idea di lasciare gli stessi nomi, Margherita e Giovanni, che rendono la storia vera, anche se sappiamo che non è proprio identica.
E ci piace questo Nanni alla presentazione, che mentre dice di non aver cambiato neanche uno dei suoi duecento schemi mentali, sorride; che dopo un’affermazione è consapevole di contraddirsi, e che ammette il suo piacere nel non essere più al centro della scena negli ultimi tre film. Ora Margherita Buy, prima di lei Michel Piccoli (rivisto l’altra sera su Rai Tre in Habemus Papam), e prima ancora Silvio Orlando per Il caimano. C’è un gioco di specchi, è vero, tra le piccole o grandi manie morettiane che il personaggio femminile ha ereditato, ma è stata abbandonata, e si vede, l’intenzione di ripetere a tutti i costi le costanti che si trascinavano dai primi film in poi.
Insomma, Nanni Moretti ora è davvero cresciuto, ma vuole che siano gli altri a dirlo, e questa è, sì, una grande prova di maturità. Giovanni nel film è un uomo gentile; viene da pensare a quello che è davvero Moretti, nei momenti in cui si libera delle sue nevrosi.
Margherita, invece, poverina, deve fare i conti con il vuoto troppo abitato (come lo definisce Natalia Aspesi su La Repubblica) che è diventata la sua vita. Una figlia adolescente, un uomo che non ama più, il bisogno di essere sempre all’altezza, ed ora la madre che si ammala gravemente. Ha sempre gli occhi lucidi, Margherita Buy, sul set, in ospedale e a casa da sola. Ma, finalmente, uno spessore che molto cinema le ha negato, mostrandocela troppo spesso con lo sguardo stupito sul mondo ed un ruolo da perdente, a volte senza tante sfumature.
Qui si arrabbia, urla, piange, sopraffatta dall’emotività, mentre faticosamente cerca di tenere a bada la vita. E’ una donna che alterna fragilità e carattere, più fragilità che carattere, per il momento esistenziale che sta attraversando, quando i ricordi i pensieri i sogni le ansie per il futuro si affollano. E mentre deve fronteggiare un dolore insostenibile, the show must go on e la scena del film che sta girando viene comunque conclusa, anche dopo la brutta telefonata ricevuta da casa.
Le emozioni intense che Mia madre ci offre vengono interrotte ogni tanto dal personaggio di uno strepitoso John Turturro, qui attore italo-americano strampalato, cialtrone e divertente nei suoi deliri. Ma anche se qualche volta si ride, quando il film nel film raggiunge momenti di tensione che altrimenti sarebbero drammatici, Mia madre sa commuovere intensamente. E lo fa in maniera discreta, mai ricattatoria. La scena di Margherita che accarezza i tanti libri della madre, unita all’anticipazione della libreria vuota con gli scatoloni in corridoio, suggerisce di più di quanto altre scene sul lutto potrebbero dire esplicitamente. Ognuno esce dal cinema con la sua buona dose di coinvolgimento, senza sentirsi trascinato oltre modo nella storia, né travolto.
Margherita Fratantonio
Si racconta all’anteprima di Mia madre, in maniera sobria e tranquilla, tanto da offuscare il tono delle domande dei giornalisti, che insistono con i loro interventi intellettualistici. Tanto più la domanda è contorta e narcisisticamente teorica, tanto più la risposta è lieve. “Non sopporto la retorica” fa dire a Margherita Buy nel film, e questo Nanni Moretti sul palco è proprio così, estremamente antiretorico. Somiglia moltissimo al personaggio di Giovanni, fratello della Buy nella finzione, ripreso dalla morte annunciata della madre (Giulia Lazzarini), fino al momento della morte effettiva.
Della sua vita privata non sappiamo nulla, perché non lo vediamo mai fuori dall’ospedale, se non nel momento in cui si licenzia, non potendo sostenere il peso del lavoro in aggiunta alla malattia della madre. Ma è lì, è presente, con la sua voce bassa e pacata, i gesti composti, anche nei momenti in cui costringe la sorella al bagno di realtà che lei vorrebbe evitare, e il tono affettuoso con cui pronuncia il suo nome: Margherita. Bella l’idea di lasciare gli stessi nomi, Margherita e Giovanni, che rendono la storia vera, anche se sappiamo che non è proprio identica.
E ci piace questo Nanni alla presentazione, che mentre dice di non aver cambiato neanche uno dei suoi duecento schemi mentali, sorride; che dopo un’affermazione è consapevole di contraddirsi, e che ammette il suo piacere nel non essere più al centro della scena negli ultimi tre film. Ora Margherita Buy, prima di lei Michel Piccoli (rivisto l’altra sera su Rai Tre in Habemus Papam), e prima ancora Silvio Orlando per Il caimano. C’è un gioco di specchi, è vero, tra le piccole o grandi manie morettiane che il personaggio femminile ha ereditato, ma è stata abbandonata, e si vede, l’intenzione di ripetere a tutti i costi le costanti che si trascinavano dai primi film in poi.
Insomma, Nanni Moretti ora è davvero cresciuto, ma vuole che siano gli altri a dirlo, e questa è, sì, una grande prova di maturità. Giovanni nel film è un uomo gentile; viene da pensare a quello che è davvero Moretti, nei momenti in cui si libera delle sue nevrosi.
Margherita, invece, poverina, deve fare i conti con il vuoto troppo abitato (come lo definisce Natalia Aspesi su La Repubblica) che è diventata la sua vita. Una figlia adolescente, un uomo che non ama più, il bisogno di essere sempre all’altezza, ed ora la madre che si ammala gravemente. Ha sempre gli occhi lucidi, Margherita Buy, sul set, in ospedale e a casa da sola. Ma, finalmente, uno spessore che molto cinema le ha negato, mostrandocela troppo spesso con lo sguardo stupito sul mondo ed un ruolo da perdente, a volte senza tante sfumature.
Qui si arrabbia, urla, piange, sopraffatta dall’emotività, mentre faticosamente cerca di tenere a bada la vita. E’ una donna che alterna fragilità e carattere, più fragilità che carattere, per il momento esistenziale che sta attraversando, quando i ricordi i pensieri i sogni le ansie per il futuro si affollano. E mentre deve fronteggiare un dolore insostenibile, the show must go on e la scena del film che sta girando viene comunque conclusa, anche dopo la brutta telefonata ricevuta da casa.
Le emozioni intense che Mia madre ci offre vengono interrotte ogni tanto dal personaggio di uno strepitoso John Turturro, qui attore italo-americano strampalato, cialtrone e divertente nei suoi deliri. Ma anche se qualche volta si ride, quando il film nel film raggiunge momenti di tensione che altrimenti sarebbero drammatici, Mia madre sa commuovere intensamente. E lo fa in maniera discreta, mai ricattatoria. La scena di Margherita che accarezza i tanti libri della madre, unita all’anticipazione della libreria vuota con gli scatoloni in corridoio, suggerisce di più di quanto altre scene sul lutto potrebbero dire esplicitamente. Ognuno esce dal cinema con la sua buona dose di coinvolgimento, senza sentirsi trascinato oltre modo nella storia, né travolto.
Margherita Fratantonio