Cannes 2014: Timbuktu di Abderrahmane Sissako

Immaginate un posto dove è proibito dare due calci a un pallone. Un luogo dove potete rischiare la vita se solo vi riunite con degli amici e una chitarra. Un posto dove è vietato avere un cellulare. Un luogo dove non potreste nemmeno amarvi. Questo posto è un luogo, un luogo reale così lontano anni luce da noi da sembrare inventato da qualche mente malsana che ha voglia di prendersi gioco di noi uomini industrializzati, emancipati, insofferenti a qualsiasi regola che solo provasse a limitare il nostro spazio vitale. Invece questo posto esiste davvero e si chiama Timbaktu. Esatto, proprio quel luogo che noi tanto amiamo citare quando desideriamo evadere dalla quotidianità. Non so quante persone dopo aver visto la pellicola di Sissako avranno ancora voglia di dire “me ne vado a Timbactù”.

Il Timbactù di Sissako è sangue, insofferenza e sofferenza, odio, apnea, mancanza di qualsiasi  battito, soffocamento. È terrore. È estremismo religioso. È quel fondamentalismo islamico a cui i nostri protagonisti cercano di sopravvivere con le loro famiglie, aggrappandosi a quel rimasuglio di pace e di amore che non dovrebbe mancare mai. Uno di questi è Kidane, un uomo pacifico e sereno, che vive felice con la moglie Satima, la figlia Toya e il piccolo pastore Issan. Una serenità che verrà compromessa quando si troverà incidentalmente implicato in un omicidio.

Intorno a lui, non meno importanti, le vite di tanti giovani a cui è proibito fumare, giocare, cantare, suonare, ridere; anche solo volersi bene è diventato peccato. Le donne sono satelliti ombra coperte anche di calze e guanti, ma resistono, lottano sottovoce con solenne dignità. Ogni giorno, tribunali improvvisati emettono le loro sentenze, tragiche e assurde. Lapidazioni, crude sepolture, frustate in piazza sono le punizioni decise da una legge inventata solo dall’uomo e mai da un Dio.

Abderrahmane Sissako torna al Festival di Cannes dalla porta principale, presentando in concorso un film straziante, cupo, viscerale, intenso ispirato a uno dei tanti fatti di cronaca che ogni giorno ci arrivano dai paesi soggiogati dall’Islam. 

Spiaga il regista: “… il 29 luglio 2012 in una cittadina del Mali, una coppia sui trent’anni con due bambini piccoli venne condannata a morte. Il loro crimine: non erano sposati. Quello che scrivo è insopportabile, lo so, non voglio scioccare per promuovere il film. Voglio solo credere nella speranza che un giorno nessun bambino dovrà vedere uccisi i propri genitori solo perché si amavano”

E non c’è davvero nessun tentativo di far provare compassione in Timbactù, ma quella leggera ironia ci vuole far sentire tutta la vivacità di questi personaggi che vogliono vivere nonostante tutto. Come la donna stravagante, che incurante dei rischi che il suo stile di vita comporta, si aggira per il paese a modo e in abiti suoi. O i ragazzini che giocano a calcio con un pallone immaginario. Perché “noi non moriamo nemmeno se ci ammazzano”.

Giuseppina Genovese








Timbuktu
Regia: Abderrahmane Sissako
Sceneggiatura: Abderrahmane Sissako, Kessen Tall
Cast: Ibrahim Ahmed aka Pino, Toulou Kiki, Abel Jafri, Fatoumata Diawara, Hichem Yacoubi
Successivo
« Precedente
Precedente
Successivo »