Il treno va a Mosca: intervista a Federico Ferrone e Michele Manzolini


Il treno va a Mosca è un progetto coraggioso nato dalla scelta inusuale per due giovani registi di farsi conoscere attraverso un film documentario, genere che arriva con più difficoltà al grande pubblico italiano.

Alla base di questa scelta c’era il progetto in sé. Un progetto che interessava e che dopo aver visto tutto il materiale ha fatto solo crescere la voglia di raccontare questo periodo storico. Il film parte da un archivio ma non lo definiamo un mero documentario, in quanto la narrazione, così come l’andamento generale sono di finzione. Ci affascinava raccontare quel mondo comunista, e crediamo che non era possibile un altro tipo di cinema per raccontarlo. È stato un bel viaggio, guidati da Sauro che ci ha fatto conoscere chi ha partecipato con lui al festival per i giovani nel 1957 a Mosca.



Il Documentario da prodotto di nicchia è diventato in Italia un prodotto per il grande pubblico. Anche in seguito alle vittorie di Sacro Gra e Tir a due importanti festival internazionali.

Era anche l’ora che questo genere acquistasse importanza anche in Italia! Il pubblico italiano dovrà abituarsi al fatto che ci sono tanti modi per raccontare. Rosi ha fatto film splendidi nel corso di questi anni, è un peccato se ne siano accorti solo ora.


Per tutta la durata del film permane questo senso di comunione, fratellanza. Perché non si riesce più a essere un popolo che combatte per i suoi ideali, positivi o negativi che siano.

Si spera ci saranno di nuovo. Siamo nel pieno di un ciclo di disillusione. Sono finite le utopie, speriamo ritorneranno un domani. C’è bisogno di un impeto.

Il film si conclude con il funerale di Togliatti. Un funerale che è anche metaforico.

E’ la fine di un mondo. La fine di un’utopia. Doveva finire così, non c'erano altri modi.


Intervista esclusiva dell'inviata
Giuseppina Genovese


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