Nella sala uno del cinema Massimo di Torino, il direttore artistico Paolo Virzì ha moderato una piacevolissima chiacchierata con lo sceneggiatore e regista Francesco Bruni, reduce dal successo di Scialla e successivamente con la giovane e promettente regista Alice Rohrwacher, che ha incantato la Croisette con Corpo Celeste, presentato a Cannes nella sezione Quinzaine des réalisateurs due anni fa.
Come nasce Bruni regista?
Francesco Bruni: avevo scritto un copione che non aveva regista. In assenza di quella dialettica fra sceneggiatura e regista ho iniziato a pensare al film in forma visiva oltre che drammaturgica. L' ho pensato a modo mio, dunque non ho avuto esitazioni dinanzi alla proposta.
Che tipo di regista sei?
Francesco Bruni: ho cercato di portare un atteggiamento che mi veniva dal mestiere di sceneggiatore. Tendenzialmente democratico, ascolto molto e penso di aver portato un atteggiamento altruistico nel mio operato. Il mio vuole essere un lavoro attento e che non si prolunghi a lungo. Posso descriverlo come una sorta di eiaculazione precoce registica.
Cosa è importante per te sul set?
Francesco Bruni: tendo a essere piuttosto federale a quello che ho scritto, non mi distacco molto, ho la sensazione che l’atmosfera che si respira sul set dia un aurea di concordia e di partecipazione collettiva. Voglio che emozioni, diverta quello che sto facendo. Ho bisogno di avere persone intorno che partecipano fortemente a quello che sto facendo.
Cosa ti ha portato al cinema?
Francesco Bruni: mi divertivo molto vedere gli altri lavorare. Anni di sceneggiature dopo aver frequentato il centro sperimentale di cinematografia.
Il prossimo film si intitola Noi quattro...
Francesco Bruni: è il racconto di una giornata di una famiglia di quattro persone che devono affrontare problema personale. Un dolore familiare li ha separati lasciando strascichi di incomprensioni reciproche. Sorta si elegia di un sentimento, un'armonia perse. De profundis sulla famiglia.
Come hai scelto il cast?
Francesco Bruni: volevo vedere volti nuovi. Ho escluso tutti i nomi che ci sarebbero potuti stare. Magari più appetibili. Volevo una sensazione di novità. Ho una passione per gli attori borghesi per questo ho puntato su Fabrizio Gifuni, padre cialtrone debosciato. Poi ho trovato Lucrezia Guidone, una grande promessa del teatro contemporaneo ha vinto l’UBU. Il ragazzino è un amico di mia figlia che conoscevo già. Poi Milena Vukotic e c’è anche mia moglie Raffaella.
Volevo aggiungere che per questo film mi sono ispirato a I ragazzi stanno bene. Un film che mi ha lasciato un sentimento forte, dolce, struggente. Ho pensato che volevo fare un film che racconta di un nucleo familiare con contraddizioni. Grande inno alla famiglia anche se al centro è una coppia di donne.
Qual è il genere che preferisci?
Francesco Bruni: Amo il cinema drammatico anche se ho scritto i film di Ficarra e Picone. Non concepisco la drammaticità senza umorismo né la comicità senza malinconia. Le cose si nutrono le une con le altre.
Progetti futuri?
Francesco Bruni: Mi piacerebbe scrivere una commedia che abbia come tema la malattia, in particolare l’Alzheimer.
Dopo aver vestito i panni del regista è cambiato il tuo modo di scrivere?
Francesco Bruni: si ho pensato che non ero così bravo come pensavo. Mi rendo conto che alcune cose scritte non funzionano girate o montate. Mi sento migliorato come sceneggiatore.
Passiamo la parola ad Alice Rohrwacher
Alice Rohrwacher: Il TFF è un po' colpevole. È stato il primo festival che ho visto come spettatrice e ho scoperto che esisteva il cinema. Vengo da una piccola realtà locale a cavallo tra l’Umbria e il Lazio, Castelgiorgio. Non abbiamo avuto un educazione cinematografica io e Alba. Ho iniziato vedendo dei film. Il mio è stato un percorso abbastanza sconnesso, avventuroso. Ho studiato lettere classiche a Torino, ho lavorato in radio. In seguito mi sono trovata a confrontarmi con il documentario. Facevo montaggio anche ai documentari di altri. Esperienza che è stata di grande aiuto quando poi mi sono trovata a lavorare su Corpo Celeste. Ho partecipato a un documentario collettivo con 4 minuti. Poco spazio. Mentre cercavo lavoro come montatrice sono stata ricontattata per scrivere. Ricerca sulla vita delle parrocchie in Reggio Calabria. Da qui poi è nata la sceneggiatura, ho pensato di partecipare al bando ministeriale, cercavo il regista ma mi hanno risposto che dovevo essere io. Se avessi già saputo come era un set forse non avrei scritto così, mi sarei misurata.
Per la fotografia avevi scelto Hélène Louvart...
Alice Rohrwacher: la fortuna di avere una coproduzione è che devo andare a cercare in altri paesi. Ho visto un po' di film francesi. i produttori francesi mi hanno suggerito lei, la persona giusta per il mio film.
Come è stato il rapporto con il tuo primo film?
Alice Rohrwacher: molto semplice e a volte la semplicità è ancora più difficile. Questo era un film che dovevamo far accadere. Dovevamo essere sempre lì, buttarci nella mischia. Dovevamo tenere sempre la macchina in spalla per una questione di rispetto fisico. Era un corpo a corpo, non una mitragliatrice contro un corpo di esecuzione.
Come ti confronti con la questione dell’arroganza?
Alice Rohrwacher: io ho visto solo il set di Corpo Celeste non so come sono gli altri registi. Non posso generalizzare.
Sei innamorata di questo mestiere?
Alice Rohrwacher: mi affascina. Bisogna aver fiducia delle immagini, scegliere cosa vedere e cosa non far vedere.
Prossimo progetto?
Alice Rohrwacher: ancora deve prendere forma. Non lo conosciamo bene. Più che dalla storia anche questa volta sono partita da una palla e da un campo e poi ci si mettono i giocatori, abbiamo iniziato così. La palla è la tradizione come sorta di rifugio, qualcosa di molto puro. Quando una cosa è tradizionale? Io lo sono? E quanto? Scegliere chi è poi vero, in base a cosa. Un film sul perdono mi affascina molto; è un progetto che è tante cose insieme. Questo è solo uno dei cuori. Poi abbiamo stabilito la geografia.
Giuseppina Genovese
Francesco Bruni: avevo scritto un copione che non aveva regista. In assenza di quella dialettica fra sceneggiatura e regista ho iniziato a pensare al film in forma visiva oltre che drammaturgica. L' ho pensato a modo mio, dunque non ho avuto esitazioni dinanzi alla proposta.
Che tipo di regista sei?
Francesco Bruni: ho cercato di portare un atteggiamento che mi veniva dal mestiere di sceneggiatore. Tendenzialmente democratico, ascolto molto e penso di aver portato un atteggiamento altruistico nel mio operato. Il mio vuole essere un lavoro attento e che non si prolunghi a lungo. Posso descriverlo come una sorta di eiaculazione precoce registica.
Cosa è importante per te sul set?
Francesco Bruni: tendo a essere piuttosto federale a quello che ho scritto, non mi distacco molto, ho la sensazione che l’atmosfera che si respira sul set dia un aurea di concordia e di partecipazione collettiva. Voglio che emozioni, diverta quello che sto facendo. Ho bisogno di avere persone intorno che partecipano fortemente a quello che sto facendo.
Cosa ti ha portato al cinema?
Francesco Bruni: mi divertivo molto vedere gli altri lavorare. Anni di sceneggiature dopo aver frequentato il centro sperimentale di cinematografia.
Il prossimo film si intitola Noi quattro...
Francesco Bruni: è il racconto di una giornata di una famiglia di quattro persone che devono affrontare problema personale. Un dolore familiare li ha separati lasciando strascichi di incomprensioni reciproche. Sorta si elegia di un sentimento, un'armonia perse. De profundis sulla famiglia.
Come hai scelto il cast?
Francesco Bruni: volevo vedere volti nuovi. Ho escluso tutti i nomi che ci sarebbero potuti stare. Magari più appetibili. Volevo una sensazione di novità. Ho una passione per gli attori borghesi per questo ho puntato su Fabrizio Gifuni, padre cialtrone debosciato. Poi ho trovato Lucrezia Guidone, una grande promessa del teatro contemporaneo ha vinto l’UBU. Il ragazzino è un amico di mia figlia che conoscevo già. Poi Milena Vukotic e c’è anche mia moglie Raffaella.
Volevo aggiungere che per questo film mi sono ispirato a I ragazzi stanno bene. Un film che mi ha lasciato un sentimento forte, dolce, struggente. Ho pensato che volevo fare un film che racconta di un nucleo familiare con contraddizioni. Grande inno alla famiglia anche se al centro è una coppia di donne.
Qual è il genere che preferisci?
Francesco Bruni: Amo il cinema drammatico anche se ho scritto i film di Ficarra e Picone. Non concepisco la drammaticità senza umorismo né la comicità senza malinconia. Le cose si nutrono le une con le altre.
Progetti futuri?
Francesco Bruni: Mi piacerebbe scrivere una commedia che abbia come tema la malattia, in particolare l’Alzheimer.
Dopo aver vestito i panni del regista è cambiato il tuo modo di scrivere?
Francesco Bruni: si ho pensato che non ero così bravo come pensavo. Mi rendo conto che alcune cose scritte non funzionano girate o montate. Mi sento migliorato come sceneggiatore.
Alice Rohrwacher: Il TFF è un po' colpevole. È stato il primo festival che ho visto come spettatrice e ho scoperto che esisteva il cinema. Vengo da una piccola realtà locale a cavallo tra l’Umbria e il Lazio, Castelgiorgio. Non abbiamo avuto un educazione cinematografica io e Alba. Ho iniziato vedendo dei film. Il mio è stato un percorso abbastanza sconnesso, avventuroso. Ho studiato lettere classiche a Torino, ho lavorato in radio. In seguito mi sono trovata a confrontarmi con il documentario. Facevo montaggio anche ai documentari di altri. Esperienza che è stata di grande aiuto quando poi mi sono trovata a lavorare su Corpo Celeste. Ho partecipato a un documentario collettivo con 4 minuti. Poco spazio. Mentre cercavo lavoro come montatrice sono stata ricontattata per scrivere. Ricerca sulla vita delle parrocchie in Reggio Calabria. Da qui poi è nata la sceneggiatura, ho pensato di partecipare al bando ministeriale, cercavo il regista ma mi hanno risposto che dovevo essere io. Se avessi già saputo come era un set forse non avrei scritto così, mi sarei misurata.
Per la fotografia avevi scelto Hélène Louvart...
Alice Rohrwacher: la fortuna di avere una coproduzione è che devo andare a cercare in altri paesi. Ho visto un po' di film francesi. i produttori francesi mi hanno suggerito lei, la persona giusta per il mio film.
Come è stato il rapporto con il tuo primo film?
Alice Rohrwacher: molto semplice e a volte la semplicità è ancora più difficile. Questo era un film che dovevamo far accadere. Dovevamo essere sempre lì, buttarci nella mischia. Dovevamo tenere sempre la macchina in spalla per una questione di rispetto fisico. Era un corpo a corpo, non una mitragliatrice contro un corpo di esecuzione.
Alice Rohrwacher: io ho visto solo il set di Corpo Celeste non so come sono gli altri registi. Non posso generalizzare.
Sei innamorata di questo mestiere?
Alice Rohrwacher: mi affascina. Bisogna aver fiducia delle immagini, scegliere cosa vedere e cosa non far vedere.
Prossimo progetto?
Alice Rohrwacher: ancora deve prendere forma. Non lo conosciamo bene. Più che dalla storia anche questa volta sono partita da una palla e da un campo e poi ci si mettono i giocatori, abbiamo iniziato così. La palla è la tradizione come sorta di rifugio, qualcosa di molto puro. Quando una cosa è tradizionale? Io lo sono? E quanto? Scegliere chi è poi vero, in base a cosa. Un film sul perdono mi affascina molto; è un progetto che è tante cose insieme. Questo è solo uno dei cuori. Poi abbiamo stabilito la geografia.
Giuseppina Genovese