Dopo Cannes, presentato fuori concorso in proiezione speciale, arriva anche a Torino - nella sezione TFFDOC - Stop the Pounding Heart , il terzo capitolo della trilogia texana di Roberto Minervini, giovane regista italiano trapiantato da anni negli USA. La terza pellicola è uno sguardo sull’America delle periferie; un’America rurale, semplice, ingenua, ma anche maschilista e atavica. Un pezzo d’America dove le donne non possono avere sogni e obiettivi. Personalità ed emozioni. Un’America dove le donne devono solo seguire alla lettera quanto scritto nella Bibbia, dimenticando che anche la religione può evolversi ed essere interpretata con il passare dei secoli.
I personaggi di Stop the Pounding Heart potrebbero apparire come dei pazzi furiosi agli occhi degli europei …
Potrebbero lasciare un’altalena di emozioni contrastanti. Sicuramente dei pregiudizi. Mi sono sentito in dovere di girarlo proprio per confermare o abbattere questi pregiudizi. Ho voluto mettere da parte il mio background e aprirmi nei confronti di queste famiglie. Ho apprezzato la loro integrità morale e la loro onestà .
C’è qualcosa della loro personalità che ti ha colpito in modo particolare?
Il loro modo di vivere molto fisico, molto adulto. Gli uomini stavano sempre a petto in fuori, spesso nudo. Ho notato una continua ostentazione della loro forza fisica .
Come ti sei rapportato con loro?
Ho voluto essere trasparente fin dall’inizio. Mi sono fatto vedere per quello che ero e loro mi hanno accettato fin da subito. Non ho mai avuto dei pregiudizi nei loro confronti, né li ho giudicati. Ho messo da parte tutte le mie emozioni, ho evitato confronti fra il loro modo di vivere e il mio.
Come si è strutturato il lavoro?
Ho fatto un lungo lavoro di ricerca. 80 ore di girato e un montaggio durato un mese e mezzo. La mia presenza a volte si è ridotta al minimo. Spesso me ne sono andato dal set. Rimaneva solo il mio collaboratore Diego. Non ho mai rivisto il materiale girato.
Qual è il messaggio che vorresti uscisse fuori?
Quanto sia difficoltoso seguire sempre la retta via. Rimanere fermi sulle proprie posizioni è una cosa molto difficile. Accettare o no le regole? Ci vuole molta coerenza, iniziando verso se stessi.
Film o documentario?
Lo descriverei come un documentario. Mi piace però la forma di fiction ho utilizzato parti documentaristiche per giocare su questo dubbio fra realtà e finzione. Utilizzo molto spesso i silenzi perché volevo creare questo misticismo, questo spostamento di linguaggio.
Quando hai girato il primo episodio, avevi già in mente di fare una trilogia?
L’idea di fare una trilogia è venuta lavorandoci giorno dopo giorno. Al termine del secondo film decisi che era inevitabile Stop the Pounding Heart. Mi piacerebbe continuare ma ora ho deciso di spostarmi nella Louisiana, affrontando temi duri come la disoccupazione arrivata al 6o per cento e l’uso delle droghe. Tutti fanno uso dell'anfetamina e non c’è nessuna assistenza da parte delle istituzioni. Un’America completamente abbandonata a se stessa. Ho ripreso una spogliarellista incinta di otto mesi che prima di spogliarsi si è bucata.
Ci sono state delle scene tolte poi in fase di montaggio?
Ho evitato quelle scene molto delicate dal punto di vista ideologico. Per rispetto ai personaggi ho cercato la loro approvazione, ci tenevo a non sporcare la loro immagine. Poi forse si sono aperti un po' troppo non volevo tacciarli di fondamentalismo. Nutro una grandissima gratitudine nei loro confronti per essere stati così aperti e disponibili.
Ti sei mai chiesto cosa ci stavi a fare lì…
Sinceramente no. Non sono un grande appassionato del cinema convenzionale. Mi interessa solo quella del passato. Trovo ragione di fare cinema solo raccontando storie difficili. Il cinema come espressione di se stessi a me interessa poco. Se continuo a far cinema lo faccio in questo modo.
Il cinema italiano è dunque autoreferenziale? (CinemaFree)
Guarda posso risponderti solo facendoti un esempio. Ho fatto dei sopralluoghi a Bari a Ziteto e al villaggio Coppola a Castel Volturno entrambi controllati dalla criminalità organizzata. Volevo fare qualcosa, ma a modo mio. Iniziare un lavoro di documentazione e poi iniziare a girare nel rispetto delle persone coinvolte. Ma non interessa a nessuno. E non solo al pubblico. Quello che davvero non riesco a concepire perché si sceglie sempre lo strumento della commedia per fare film di politica. Parlare dei mali dell’Italia in toni grotteschi e ironici è davvero assurdo. Non ce la farei mai a ridere. Io sono per il cinema di militanza. È assurdo utilizzare il marciume italiano per far ridere e far cassa. In Italia non si rischia.
Giuseppina Genovese
I personaggi di Stop the Pounding Heart potrebbero apparire come dei pazzi furiosi agli occhi degli europei …
Potrebbero lasciare un’altalena di emozioni contrastanti. Sicuramente dei pregiudizi. Mi sono sentito in dovere di girarlo proprio per confermare o abbattere questi pregiudizi. Ho voluto mettere da parte il mio background e aprirmi nei confronti di queste famiglie. Ho apprezzato la loro integrità morale e la loro onestà .
C’è qualcosa della loro personalità che ti ha colpito in modo particolare?
Il loro modo di vivere molto fisico, molto adulto. Gli uomini stavano sempre a petto in fuori, spesso nudo. Ho notato una continua ostentazione della loro forza fisica .
Come ti sei rapportato con loro?
Ho voluto essere trasparente fin dall’inizio. Mi sono fatto vedere per quello che ero e loro mi hanno accettato fin da subito. Non ho mai avuto dei pregiudizi nei loro confronti, né li ho giudicati. Ho messo da parte tutte le mie emozioni, ho evitato confronti fra il loro modo di vivere e il mio.
Come si è strutturato il lavoro?
Ho fatto un lungo lavoro di ricerca. 80 ore di girato e un montaggio durato un mese e mezzo. La mia presenza a volte si è ridotta al minimo. Spesso me ne sono andato dal set. Rimaneva solo il mio collaboratore Diego. Non ho mai rivisto il materiale girato.
Qual è il messaggio che vorresti uscisse fuori?
Quanto sia difficoltoso seguire sempre la retta via. Rimanere fermi sulle proprie posizioni è una cosa molto difficile. Accettare o no le regole? Ci vuole molta coerenza, iniziando verso se stessi.
Film o documentario?
Lo descriverei come un documentario. Mi piace però la forma di fiction ho utilizzato parti documentaristiche per giocare su questo dubbio fra realtà e finzione. Utilizzo molto spesso i silenzi perché volevo creare questo misticismo, questo spostamento di linguaggio.
Quando hai girato il primo episodio, avevi già in mente di fare una trilogia?
L’idea di fare una trilogia è venuta lavorandoci giorno dopo giorno. Al termine del secondo film decisi che era inevitabile Stop the Pounding Heart. Mi piacerebbe continuare ma ora ho deciso di spostarmi nella Louisiana, affrontando temi duri come la disoccupazione arrivata al 6o per cento e l’uso delle droghe. Tutti fanno uso dell'anfetamina e non c’è nessuna assistenza da parte delle istituzioni. Un’America completamente abbandonata a se stessa. Ho ripreso una spogliarellista incinta di otto mesi che prima di spogliarsi si è bucata.
Ci sono state delle scene tolte poi in fase di montaggio?
Ho evitato quelle scene molto delicate dal punto di vista ideologico. Per rispetto ai personaggi ho cercato la loro approvazione, ci tenevo a non sporcare la loro immagine. Poi forse si sono aperti un po' troppo non volevo tacciarli di fondamentalismo. Nutro una grandissima gratitudine nei loro confronti per essere stati così aperti e disponibili.
Ti sei mai chiesto cosa ci stavi a fare lì…
Sinceramente no. Non sono un grande appassionato del cinema convenzionale. Mi interessa solo quella del passato. Trovo ragione di fare cinema solo raccontando storie difficili. Il cinema come espressione di se stessi a me interessa poco. Se continuo a far cinema lo faccio in questo modo.
Il cinema italiano è dunque autoreferenziale? (CinemaFree)
Guarda posso risponderti solo facendoti un esempio. Ho fatto dei sopralluoghi a Bari a Ziteto e al villaggio Coppola a Castel Volturno entrambi controllati dalla criminalità organizzata. Volevo fare qualcosa, ma a modo mio. Iniziare un lavoro di documentazione e poi iniziare a girare nel rispetto delle persone coinvolte. Ma non interessa a nessuno. E non solo al pubblico. Quello che davvero non riesco a concepire perché si sceglie sempre lo strumento della commedia per fare film di politica. Parlare dei mali dell’Italia in toni grotteschi e ironici è davvero assurdo. Non ce la farei mai a ridere. Io sono per il cinema di militanza. È assurdo utilizzare il marciume italiano per far ridere e far cassa. In Italia non si rischia.
Giuseppina Genovese