E' successo a Ispica, in provincia di Ragusa, dove cinquant’anni fa venne girato il film di Pietro Germi Divorzio all’italiana, premiato a Cannes nel 1962 e con tre nomination all’Oscar nel ‘63.
Nella filmografia di Pietro Germi, segna il passaggio dal dramma alla commedia, dopo l’impegno neorealistico (Il cammino della speranza, Il ferroviere), dopo L’uomo di paglia e Un maledetto imbroglio, pochi anni prima di Sedotta e abbandonata. È il suo primo film in soggettiva, se pure con un punto di vista nevrotico-ossessivo, tale da creare un effetto straniante, per tenere lontana l’identificazione e divertire il pubblico. A luglio, una serie di iniziative hanno fatto rivivere le scene e le ambientazioni di allora, fino all’evento del 27 luglio, una riproduzione teatrale del film sotto la direzione del regista italo-argentino Ruben Ricca.
Ispica, nel film di Germi, è Agramonte: diciottomila abitanti, quattromila e trecento analfabeti, mille e settecento disoccupati tra fissi e fluttuanti, ventiquattro chiese. All’ interno della sezione del PC gli uomini ballano tra loro, mentre la voce fuori campo del protagonista, il decadente e decaduto barone Fefé Cefalù (Marcello Mastroianni), parla di progresso, se pure lento; il prete raccomanda di votare il partito che si vuole, purché sia democratico e cristiano; le mogli fedifraghe sono chiamate senza eufemismi puttane e i mariti traditi, per la stessa schiettezza, cornuti. La legge 587 sul delitto d’onore del codice Rocco (ebbene, sì, quello fascista) viene utilizzata, qui, in Sicilia, più che altrove; ma ricordiamo che era pur sempre una legge nazionale, che nel ‘60 contava mille vittime all’anno e verrà abolita solo vent’anni dopo.
Il giornale della vicina Pozzallo dice del film: “Cinquant’anni, ma non li dimostra”. Beh, insomma….siamo cambiati tanto da allora, per fortuna! Divorzio all’italiana è uno splendido documento storico, un credibilissimo com’eravamo, se pure paradossale, ma che ci riguarda, siciliani e italiani tutti. Per gli ispicesi, poi, oggi un tuffo nella memoria, emozionante come pochi. Gli organizzatori sono riusciti a intervistare persino il figlio di chi ha fornito i fiori alla scena del funerale (300 lire a corona, dopo lunga contrattazione) e il marinaio dell’ultimo frammento del film. Non c’è spazio qui per raccontare la trama, ma guardatelo, o riguardatelo, ne vale davvero la pena!
Ogni ispicese ha, in base all’età, un ricordo di prima o seconda mano sulle riprese del film. Chissà che impressione e quali emozioni per un paese che si stava appena affacciando alla modernità, se pure lentamente! Tanti i testimoni: le comparse, i figli, i nipoti, i curiosi. Ancora oggi, è possibile sentirne i racconti. E chissà che impatto l’arrivo di una troupe cinematografica! Tanto forte il mito di Stefania Sandrelli che, ancora nei decenni successivi, per definire bella una donna, si diceva “Pari (sembra) Stefania Sandrelli”, con la dr pronunciata all’ispicese, arretrando la lingua un po’sul palato. “Ricordi che uniscono le generazioni” si legge sulla pagina fb degli organizzatori, ed è proprio vero.
Tranne i palazzi signorili, che sono rimasti intatti, i luoghi sono cambiati. Qualche scempio edilizio, ahinoi, è stato lo scotto da pagare per un progresso che negli anni ’70 ha innaturalmente accelerato i suoi ritmi. Ma alcune location, le stesse utilizzate per Montalbano (la chiesa dell’Annunziata, per esempio), sono, per fortuna, uguali ad allora.
Riconoscibilissimo corso Garibaldi, la discesa, dalla piazza a casa, che ha visto i patimenti e i propositi del barone Cefalù. Si chiamava “A calata ‘o cafè” (cioè la discesa del caffé: forse del primo bar a Ispica). E oggi vede, invece, una grande animazione serale, soprattutto giovanile. Quasi identica la“Società operaia”, un circolo che si affacciava sul corso, dove gli uomini commentavano tutto di tutto e parlavano dell’argomento preferito: le donne. E’ scomparsa, invece, la voce del venditore ambulante che, quasi come una colonna sonora, scandisce i passaggi della narrazione e amplifica le insofferenze di Mastroianni-Fefé. Sembra il lamento di un muezzin, che non invita alla preghiera, ma che racchiude le difficoltà del vivere allora in Sicilia, nonostante i sorrisi o la risata liberatoria di alcuni momenti del film.
In contemporanea, dal 23 al 29 luglio, il Festival Internazionale del Cinema di Frontiera, a Marzamemi.
Margherita Fratantonio
Tratto da L'immaginario