Divorzio all’italiana, cinquant’anni dopo: gratificazione personale e collettiva

E’ successo a luglio a Ispica, in provincia di Ragusa, dove Pietro Germi diresse nel ’61 Divorzio all’italiana, con una splendida Stefania Sandrelli,  innocente e maliziosa, e un mitico Marcello Mastroianni, che, dopo La dolce vita,  si concede alla caricatura, nei panni del barone Ferdinando Cefalù (Fefè): baffetti impomatati, retina in testa per fissare la pettinatura, un tic al labbro a rendere la sua ridicola nevrosi. Fu, allora, un evento travolgente per tutti gli abitanti del paese: Germi ha voluto chiamarlo Agramonte, e quest’estate Ispica-Agramonte ha rivissuto un revival a dir poco originale. 


Tre serate a fine luglio interamente dedicate al film, e al cinquantenario dell’Oscar. Quella centrale ha riproposto le scene più significative, nella stessa location di allora: la chiesa, la discesa dalla piazza alla casa del barone, la Società Operaia, circolo di soli uomini, ancora frequentatissimo. Le sequenze più affollate, la prima e l’ultima, il funerale e il matrimonio, hanno trascinato gli spettatori, molti dei quali arrivati da fuori per l’eco della manifestazione. Mancava l’ultimo frammento, non proponibile in scene di esterni così gremite,  ma sottinteso per gli abitanti di Ispica che non l’hanno certo dimenticato; per gli altri, è quella del tradimento di Angela, dopo che Fefè ha ucciso la moglie ed è riuscito nell’intento di sposarla; infedeltà appena accennata, ma per questo ancora più divertente, e divertita, sul compiacimento di lui: “La vita comincia a quarant’anni”, e sulla parola FINE. Una sequenza che racchiude, in cinquantun secondi, tutta l’assurdità di come eravamo.

Recitava Pablo Neruda “Noi, quelli di allora, più non siamo gli stessi”; lo diceva con rammarico, il poeta, noi con sollievo. Siamo cambiati tutti: Ispica, la Sicilia, l’Italia, il cinema, la realtà. Però, anche se migliaia di film hanno affinato i nostri gusti, Divorzio all’italiana resta una narrazione avvincente e attuale, quando racconta l’ossessione nella mente del protagonista, spinto al gesto quasi lecito decenni fa, il delitto d’onore, addirittura. Il tormento amoroso esiste ancora, le infatuazioni impossibili, i deliri sentimentali, i passaggi tortuosi dell’anima, anche se parlare di anima per il barone Ferdinando è decisamente un po’ troppo. E’ piuttosto, il suo, uno scatto dal desiderio al pensiero compulsivo, una mania, manieristica,  funzionale a spegnere ogni possibile identificazione.

L’iniziativa del 27 luglio ci dice invece cosa è rimasto intatto nel tempo, quanto siano ancora vivi i ricordi e quanto sia terapeutica la rievocazione individuale e collettiva.

Le comparse (tante, e scelte con cura) hanno vissuto un’esperienza che somiglia a quella dei loro genitori o dei loro nonni,  recuperando parti di un racconto indelebile e il piacere rinnovato di essere riprese dalla telecamera. E’ un desiderio legittimo quello di comparire in un film, un bisogno profondo che risale all’infanzia. A dirla con Winnicot “Quando guardo sono visto, così io esisto”. Lo sguardo dell’altro è fondamentale per lo sviluppo della personalità e rende comprensibile, da adulti, la soddisfazione di mostrarsi su uno schermo perché gratifica il nostro bambino interiore; ma non è detto che sia per questo meno sana. E’ un apparire che rafforza l’esserci e che non deve necessariamente sostituirlo. Niente a che vedere con le smanie da Grande Fratello, quelle che hanno portato alla rovina il protagonista del film Reality di Matteo Garrone, o con la frenesia adolescenziale di fermare ogni banalità quotidiana per pubblicarla su facebook.

Vien da pensare per affinità a L'uomo delle stelle. Ma Pietro Germi non era il ciarlatano Joe Morelli (Sergio Castellitto), e gli abitanti di Ispica, quelli veri, nei primi anni ’60 non erano le figure tragiche e commoventi che Tornatore fa cadere nella trappola: 1500 lire per sognare di diventare attori. La pellicola di Divorzio all’italiana era più che reale, reale il set, tanto da rimanere impressi nel ricordo fino ad oggi.

Anche ora, nel 2013, la scelta del cast, le prove e il risultato finale non sono stati affidati alla buona volontà di operatori amatoriali. Il regista italo-argentino Ruben Ricca ha assegnato i ruoli fondamentali agli attori del teatro di Modica, e li ha diretti, presente in scena, ad impersonare Pietro Germi che guidava Matroianni e la Sandrelli.

La giusta intuizione è stata quella del coinvolgimento di tutti gli ispicesi, ma forse non ci si aspettava una risonanza così, da parte della stampa. A mano a mano che gli articoli superavano i confini locali (ne ha scritto anche Pietrangelo Buttafuoco su La Repubblica) tutto il paese si è riconosciuto sempre più nell’iniziativa. Scambi emotivi intensi, fatti di  immagini in bianco e nero che prendevano colore, battute, aneddoti, dialoghi, foto agli attori e con gli attori (esposte nella mostra contemporanea allo spettacolo). E insieme l’orgoglio di essere stati protagonisti, se pure in tempi lontani, di appartenere ad  un luogo scelto dal cinema, quello vero.

Per chi si è trovato poi al centro della scena, il valore di essere visti nella propria soggettività, teorizzato da Winnicot, si è amplificato, come sempre succede, nel gruppo. Stare sul palcoscenico, infatti, non è terapeutico solo per il Sé, ma anche per la relazione tra le persone, ancor più quando il pubblico riflette e condivide un sentire comune. E così, i rimandi tra gli organizzatori, gli attori, le comparse e tutta la comunità nei giorni delle prove e la sera della rappresentazione si sono caricati di allegria,  arricchiti dalla consapevolezza di apparire (ed esserci) in un’avventura lieve, ma impegnata nello stesso tempo.

Uno dei giovani organizzatori mi diceva di sentirsi dieci anni di più per la fatica degli ultimi giorni; gli ho risposto che ne ha regalati venti alle persone che hanno partecipato, soprattutto a quelle più anziane.  Hanno lavorato al progetto, dall’idea originale a tutte le fasi della realizzazione,  Giorgio Caccamo, Marco Ruffino e Giuseppe Santoro (ideatore dell’evento e autore della sceneggiatura).

Margherita Fratantonio


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