V Festival del Cinema Bulgaro

Avè di Konstantin Bojanov
Avè, lungometraggio diretto e prodotto da Konstantin Bojanov, è un perfetto mix di genere tra drammatico, realismo e road movie. La stesura drammatica è incentrata principalmente su due ragazzi, Avè, interpretata da Angela Nedialkova e Kamen, interpretato da Ovanes Torosian. I due protagonisti, non vengono presentati direttamente, ma la loro storia, i loro nomi e la loro caratterizzazione, la si scopre nell’arco di tempo di svolgimento del viaggio filmico.
Un film dai tempi lunghi, nel quale si cerca attraverso l’immagine visiva di rappresentare il sentimento espressivo, la grazia, l’espressione del volto umano. Avè e Kamen, sono ossimoro di una personalità giovanile che si rapporta ad una realtà circondata da eventi luttuosi, nella quale i due hanno la capacità di dimostrarsi degli eroi solitari che si ritrovano ad avvicinarsi ad una recondita caverna per affrontare una prova di vita e di rapporto con la morte.
La chiave preminente di lettura drammaturgica del film consiste in una frase detta da Kamen in occasione della riunione casalinga in casa del suo amico, morto suicida, ossia, “E’ tanto importante arrivare da un punto A a un punto B?”. L’avventura dei due protagonisti infatti non ha un punto di arrivo e un punto di partenza, è un viaggio nella vita, nei sentimenti, ma anche una prova che porta i ragazzi al raggiungimento di una coscienza adulta. Avè è una ragazza che utilizza l’immaginazione per crearsi una vita interessante ed in parte fuggire dalla realtà per immerge se stessa od un'altra persona nell’altro diverso da sé. Elegante e riflessivo il rapporto dell’amore e del sentimento che si insinua graziosamente tra i due ragazzi, una poeticità di immagine che intenerisce l’animo dello spettatore. Da evidenziare che il lungometraggio non predilige comunicare ad un pubblico assuefatto da una narrazione ritmica serrata, a colpi di scena, ma ad un cinema d’essai. Al livello tecnico, Avè, nel linguaggio filmico presenta errori in numerose scene, vi è perdita di fuoco sui personaggi, troppo spazio laterale o nella parte superiore dell’inquadratura del soggetto ripreso, le panoramiche a volte perdono di nitidezza, la fotografia a tratti non evidenzia alla perfezione i volti dei personaggi. Problemi che vengono giustificati proseguendo con la narrazione e l’utilizzo numeroso della macchina a mano, oggetti di una narrazione che vuole avvicinarsi al realismo documentaristico,
ad un ambiente vicino, casalingo. Un cinema fatto di sentimento, di passione, di riflessione e di molti momenti tristi, un ottima narrazione drammatica incentrata sulla tematica del viaggio nella inquietudine giovanile.

Francesco Adami



Sotto copertura e Lora dalla mattina alla sera

La seconda serata del V festival del Cinema Bulgaro a Roma, svoltosi alla Casa del cinema, ha avuto come protagonisti la fiction televisiva Sotto copertura, e il lungometraggio Lora dalla mattina alla sera. Sotto copertura (Pod Priakitie) è una serie tv avvincente, un poliziesco i cui tempi di svolgimento degli avvenimenti hanno una ottima ritmica a cui non manca nulla per poter essere  confrontati con le note crime series americane. Durante il festival sono stati proiettati due episodi della seconda serie, separati nel tempo drammaturgico ma ben connessi da una breve introduzione iniziale. La serie ha una struttura a puntata non ad episodi, ma ogni parte ha un suo svolgimento con dei colpi di scena, azione, che intrattengono lo spettatore lasciandogli il desiderio di proseguire ancora la visione. Tutto elaborato molto bene, dalle scene d’azione alla fotografia, ottimo lavoro offerto dai numerosi direttori della fotografia che si occupano di realizzare le puntate. Anche chi non ha mai seguito questa serie viene coinvolto nella situazione e nella visione in modo sorprendente. Se la serie televisiva fosse trasmessa in Italia, naturalmente con un buon doppiaggio, perché il pubblico comune ancora non si è abituato a vedere film e serie in lingua originale sottotitolati, avrebbe sicuramente un buon successo.
 
Lora dalla mattina alla sera (Lora From Morning Till Evening) è un film a basso costo realizzato da Dimitar Kotzev, una storia dai tratti fantastici. Lora, interpretata dall’attrice Milena Nikolova è presente anch’essa nel telefilm Sotto copertura. In questa avventura, vengono coinvolti oltre alla protagonista Lora, altri due amici che tutti insieme hanno a che fare con sei dadi magici, dei quali ognuno ne possiede un paio, chi avrà la possibilità di ottenerli tutti potrà vivere sempre felice. Lora così viene coinvolta da numerose vicende dai tratti comici, che forniscono al film l’aspetto di una commedia divertente, ma che non affascina molto e comunica poco. Il trailer del
film, presenta una struttura molto elaborata, sono state inserite le migliori sequenze, per affascinare e incuriosire lo spettatore, evidenziando soprattutto il lato comico della pellicola. Trailer che racchiude in se tutto lo spirito del film senza aggiungere o sottrarre niente di più, ad eccetto del personaggio di secondo piano, Silvy, ma che svolge una funzione importate, interpretata molto bene da Iva Gocheva, che sembra impegnarsi più degli altri colleghi. Girato completamente con la fotocamera digitale Canon 7D. Questa con il suo sensore rende possibile ottenere un quadro simile a quello cinematografico, dunque fornendo una profondità di campo ed un’immagine vicina a quella cinematografica, ma tuttavia non fornisce quello spazio colore o quella qualità di immagine che può dare una cinepresa a pellicola od una camera digitale. Alcune sequenze soprattutto nelle basse luci, non trasmettono una definizione ottima, fattore che denota una delle limitazioni di una fotocamera, ed
inoltre la porzione di campo dello schermo cinematografico è minore rispetto a quella di un film tradizionale. Il soggetto è buono, ma lo sviluppo non è dei migliori, ci si perde verso il finale e come si evince dalle parole del regista “E’ un piccolo film fatto tra amici, quello che si può dire è quello che vedete, non c’è molto da dire”.

Francesco Adami

Guarda il video:
http://www.youtube.com/watch?v=AOnWHX4ivkk



Rifugio

 
Rifugio (Shelter/Podslon) è un lungometraggio drammatico, incentrato su di una coppia di genitori ed il rapporto con il proprio figlio, lo scontro generazionale, il passaggio dall'infanzia all’adolescenza. La struttura interna del film è costruita in tre parti, ossia una prima parte nella quale vengono presentati i due genitori, in cui l'attenzione va posta soprattutto sulla figura dell’uomo-padre, un allenatore di una squadra di nuoto, che ritorna vincitore di un premio ma che nella vita deve cercare di sostenere la famiglia e la fragile moglie. Appena l’uomo torna a casa viene a conoscenza che il figlio dodicenne, Radostin, interpretato da Kaloian Siriiski, da giorni non è rientrato a casa, così con la moglie si reca al commissariato per sporgere denuncia. Il giovane ragazzo viene ritrovato subito dal padre nella loro abitazione, ma non è solo, con lui vi è una ragazza Courtney interpretata da Silvia Gerina, la quale si sta facendo una doccia. Ha inizio la seconda parte, in cui vengono presentati allo spettatore, gli amici di Radostin, Courtney, una punk dall’animo serio, la quale cerca anche di aiutare la madre di Radostin, mostrando educazione e rispetto anche per le opinioni altrui, ma allo stesso tempo è una ribelle. Altro personaggio chiave che introduce sconvolgimento ma anche riconciliazione è Tenx, un giovane anarchico che vive in una cantina, dal carattere forte, interpretato da Irena Hristoskova. La seconda parte, si svolge durante una lunga cena a casa di Radostin, nella quale escono fuori le caratterizzazioni ed i pensieri interni di ogni personaggio: dalla rigidità mentale ma nello stesso tempo realista del padre di Radostin, alla fugacità, ricerca di identità e di ribellione di Radostin stesso, il quale nella terza ed ultima parte del film, si ritrova ad avere i primi problemi con la legge, per poter trasgredire e conoscere qualcosa che gli è stato vietato da una famiglia ligia al dovere, che non è riuscita ad educare bene i propri figli, lasciandoli alla loro sorte. Tutta la vicenda si segue da vicino e lo spettatore è  "invitato" nell’abitazione di una famiglia tradizionale, che cerca di rapportarsi con le moderne generazioni, con le funzionalità del computer e della rete. Interessante la sequenza nella quale la madre ed il padre di Radostin cercano di interagire con skype per parlare con l’altro figlio lontano ma come per il piccolo Radostin è difficile parlare il linguaggio dei genitori, per loro è difficile adattarsi alla tecnologia e all’espressione giovanile, tanto da sembrare dei bambini che stanno per imparare a scrivere o a parlare.

Per quanto riguardo il lato tecnico del film, non vi è una vera e propria fotografia, il lavoro svolto dal direttore della fotografia, Krum Rodriguez, è quasi nullo od invisibile, forse una scelta stilistica intrapresa da parte del regista Dragomir Sholev, il quale ha voluto rendere familiare lo stile di ripresa. Nelle scene buie ed in altre in cui vengono mostrati alcuni personaggi attraverso inquadrature a campo medio, si riesce a malapena a distinguerne il volto, dato che è talmente scuro da fondersi con lo sfondo scuro della scena.

Un film che cerca di narrare una storia in modo semplice, lontano dal buon cinema, ma che può essere interessante per l’aspetto narrativo dello spaccato di vita adolescenziale di un ragazzino bulgaro.

Francesco Adami






Scarpe da ginnastica

Scarpe da ginnastica (Kecove/Sneakers) è uno dei lungometraggi più poetici e riflessivi del V Festival del Cinema Bulgaro. La storia è incentrata su molti personaggi, ognuno con le sue caratteristiche, ossia un omosessuale, un ragazzo che viene tradito dalla sua ragazza e un musicista disadattato. Questi personaggi si
ritrovano in una spiaggia sulla quale costruiscono una tenda dove vivere ed, immergersi nella bellezza della natura, per sfuggire alle problematiche ed ai rumori della vita quotidiana e della città. Spiaggia simbolo di una realtà altra, di un sogno, di rifugio ma nello stesso tempo di libertà collettiva, dove l’aspetto umano si ritrova
nel confronto e nel conforto di un’altro individuo che condivide qualcosa o che semplicemente vuole sentirsi carne. Lo spirito blues, invade pienamente la pellicola, per chi non conosce o non ama lo stile musicale, non riuscirà a comprenderne appieno le caratteristiche. Il blues, è un genere musicale che ha un suo stile,
manifestandosi nell’esaltare e celebrare una sofferenza che trova la sua guarigione nell’espressione e nella performance musicale stessa. Il suono dell’armonica ha una valenza drammaturgica nella pellicola, è simbolo di una cultura folk, popolare, nella quale ognuno può esprimersi liberamente. Proprio questa libertà è quella che i protagonisti cercano, confessando anche le loro paure, le loro certezze, registrandole in una
telecamera, oggetto drammaturgico importante, perché svolge la funzione di narrazione interna, come film nel film. Vi sono numerose tematiche che vengono proposte all’interno della storia, che inserisce molti fattori, come l’emarginazione e la droga. La lunga jam blues, nella quale i protagonisti si ritrovano, suonando
strumenti provenienti da varie etnie e generi musicali, è il simbolo dell’unione e di una fratellanza tra persone che si conosco poco ma che si sentono umane. Il passato però non può essere facilmente lasciato alle spalle, e neanche i problemi della società e l’integrazione, tanto che proseguendo con la narrazione, accadono degli
avvenimenti che portano molti personaggi a scontrarsi tra di loro. Per svolgersi in un epilogo pieno d’azione, di scontri con la polizia e di problemi legati alla legge ed alle regole imposte per dovere o per esigenze dalla società.

Ogni attore dà il meglio di sé interpretando un ruolo non ben definito ma contestualizzato semplicemente in una storia, che non vuole puntare ad un singolo aspetto, ma che vuole esprimere una collettività fatta di tante piccoli parti che fanno parte di un insieme. Da evidenziare le curate inquadrature paesaggistiche, che evidenziano metaforicamente l’aspetto dell’animo dei protagonisti, infatti si parte da una caotica città, passando per una vuota e desertica via , per arrivare al mare simbolo di scrosciante libertà. Fotografia,
riprese, ritmo e montaggio, tutti aspetti curati molto attentamente
, peccato che il film dura più di mezzora, poteva essere eliminato o rielaborato soprattutto verso la parte finale fino ad arrivare ad una conclusione in parte ciclica riportando lo spettatore alla sequenza iniziale del film. Nell’insieme una pellicola curata, interessante ma che si disperde senza concentrarsi su un determinato aspetto.

Francesco Adami


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