
Tre anni dopo il surreale e grottesco Eraserhead, David Lynch torna dietro la macchina da presa dirigendo quello che, come verrà definito da molti, sarà il suo capolavoro. Questo suo secondo lungometraggio riesce immediatamente a trasportarci nella Londra del XIX secolo grazie ad un'ambientazione curata e all’utilizzo del bianco e nero che rendono il film senza tempo. A contribuire alla riuscita del film è soprattutto una stupenda sceneggiatura in grado di commuovere ma soprattutto di far riflettere su come la società non riesce ad accettare tutto cioè che è diverso e perciò ne ha paura. Da ciò nasce una domanda: chi è il vero mostro?
Il tema che Lynch fa trasparire è: "nulla è come appare". John Merrick, esteriormente mostruoso, in realtà ha un animo nobile e gentile ma la maggior parte della gente non riesce ad accorgersene e si limita ad osservarlo con disgusto. Coloro che riusciranno a vedere come egli sia in realtà saranno il dottor Frederick Treves (Anthony Hopkins) e un’attrice di teatro, la Signora Kendall (Anne Bancroft). Il primo sembra interessarsi a lui solo per studiarlo ed ottenere prestigio ma poi, come si vedrà nel corso dell'opera filmica, prederà davvero a cuore la sorte di John; mentre la seconda, leggendo di lui sul giornale, decide di fargli visita e, recitando con lui un verso di “Romeo e Giulietta” affermerà “tu non sei l’uomo elefante…tu sei Romeo”.
Il film è strutturato sugli sguardi e sulle reazioni che la gente ha quando vede John grazie ai primi piani sui volti degli attori e si nota come il regista decida di non mostrare subito John Merrick allo spettatore. Grazie ad un gioco di luci e ombre e al magistrale utilizzo del bianco e nero si riesce infatti a distinguere solo la silhouette dell'uomo elefante. Tramite la descrizione che il dottor Treves fa ai suoi colleghi possiamo immaginare quanto sia grave la sua deformità. Sarà solo dopo una mezz’ora di film che verrà mostrato allo spettatore l’aspetto del protagonista. Da quel momento si noterà come egli è una creatura fragile, che tenta continuamente di nascondere la sua deformità non perché odia il suo aspetto, dato che lui non si è mai visto allo specchio, ma perché non vuole far paura alla gente che lo guarda.
La maestria di Lynch fa in modo che la narrazione si sposti attraverso i vari protagonisti: nella prima parte del film il protagonista è dottor Treves, mentre nella seconda il protagonista diventa John Merrick permettendo così allo spettatore di immedesimarsi in loro due.
Nel film appaiono dei chiari riferimenti alla pellicola di Tod Browning Freaks del 1932, che all’epoca sconvolse la società per via di alcune scene forti (si dice che una donna gravida ebbe un aborto spontaneo guardandolo) e nel quale gli attori erano dei veri freaks. Il film nonostante non sia poetico come The Elephant Man comunque ci mostra come molte volte i veri mostri sono proprio le persone normali.
Un elogio va al cast d’eccezione di questo film, soprattutto ai due attori protagonisti: un giovane e convincente Anthony Hopkins nel ruolo del dottor Treves e un bravissimo John Hurt che nonostante il pesante trucco riesce a trasmettere delle forti emozioni.
In conclusione questa pellicola resta una delle pietre miliari della storia del cinema, capace di coinvolgere e di affascinare lo spettatore suscitando in lui una serie di emozioni indelebili ma che, nonostante sia stato candidato a otto premi oscar, sfortunatamente non è riuscito a portarne a casa nessuno.
Michele Valente
The Elefant Man
Regia: David Lynch
Cast: Anne Bancroft, John Hurt, Anthony Hopkins
Produzione: Gran Bretagna, 1980
Durata: 125 min.