Confessiamo che entrando in sala eravamo mossi da un pregiudizio: perplessi e rassegnati ad assistere all’ennesimo esercizio revisionista. Questa volta a danno della madre delle stragi e della “strategia della tensione”: Milano, piazza Fontana, 12 dicembre 1969, 16 morti e decine di feriti nell’esplosione di una bomba all’interno delle sede della Bna. Dobbiamo ricrederci. Non tutto è filato “liscio”, è vero.
Ma se si pensa che il film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, (in sala dal 30 marzo) era “liberamente ispirato” al criticatissimo (e criticabilissimo) libro di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di piazza Fontana (Ponte alle Grazie, 2009, euro 16,30), poteva andare peggio. Rimane la balzana storia delle due valigie e della doppia bomba (una delle più contestate alla ricostruzione di Cucchiarelli) secondo cui Valpreda avrebbe messo nella banca una prima borsa (poco più che un petardo) destinata a non far vittime, e una seconda sarebbe stata piazzata invece dall’estrema destra per fare una strage di cui poi incolpare gli anarchici del Circolo Ponte della Ghisolfa. Poi però Giordana, con la sceneggiatura dei “soliti” Rulli e Petraglia, devia dalla traiettoria del libro aggiungendovi un’ulteriore lettura nel dialogo tra il commissario Luigi Calabresi (un ottimo e somigliante Valerio Mastandrea) e il prefetto Federico D’Amato (Giorgio Colangeli, al solito impeccabile) con quest’ultimo che imputa la prima borsa ai fascisti e la seconda ai servizi. Insomma, un zig zag di ricostruzioni di un eccidio che ricordiamo, a 32 anni di distanza, non ha ancora colpevoli “ufficiali”. Sebbene tutti sanno che “la mano è fascista, la strage è di Stato”, come urlava nelle piazze la sinistra extraparlamentare.
Nel film prodotto da Cattleya (130 minuti che scorrono via d’un fiato) c’è tutto lo spaccato di un’epoca: gli anarchici e i fascisti, i poliziotti e gli infiltrati, i giudici, gli uomini dei servizi, i giornalisti. E i politici. Uno su tutti: Aldo Moro (Fabrizio Gifuni), coscienza pulita di una classe dirigente decadente e collusa. Eloquente è la scena in cui Moro sale al Quirinale ad incontrare il Presidente Saragat (Omero Antenutti) mostrandogli il suo privatissimo dossier nel quale, probabilmente, vengono messe in luce le responsabilità dell’establishment. Saragat è imbarazzato, balbetta, si innervosisce, è irrequieto. Interessante è il rapporto privato che Giordana filma tra Calabresi e Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico che morì cadendo giù dalla Questura di via Fatebenefratelli, mentre era sotto interrogatorio (fuori dai limiti consentiti per legge) del commissario e dai suoi uomini. Così come innovativa è la figura di Calabresi che dopo la morte di Pinelli entra in frizione con le autorità, preannuncia un suo abbandono dalla Polizia, si sente lasciato solo. Per cui sembra dallo scorrere delle immagini quasi che il suo omicidio sia dovuto alle conseguenze dei dissidi con il Viminale più che a una “spedizione punitiva” di Lotta Continua come emerso in sede processuale. A proposito di LC lascia a desiderare che essa sembri manovrata dai servizi (sono loro a passare la velina su Calabresi “addestrato dalla Cia”). Come del resto dei dubbi solleva la scelta di Giordana di prediligere l’ipotesi che Calabresi fosse fuori stanza mentre Pinelli cadeva dalla finestra del suo ufficio nonostante l’anarchico Lello Valitutti (se ne fa solo un breve accenno nel film) abbia testimoniato in aula il contrario.
Manca, infine, un’adeguata descrizione del contesto, il biennio rosso 1968-69, il movimento degli studenti a fianco degli operai, il sindacato dei Consigli. Insomma, il paese in movimento. Da fermare anche a colpi di stragi. Stragi di Stato ovvero compiute da uomini facenti parte direttamente degli apparati più coperti dello Stato, oppure da fascisti da loro personalmente organizzati, indirizzati, finanziati, protetti. Detto ciò, viste le premesse, Giordana passa il nostro personalissimo esame: un 6 “politico” considerando il tema.
Silvio Messinetti
Ma se si pensa che il film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, (in sala dal 30 marzo) era “liberamente ispirato” al criticatissimo (e criticabilissimo) libro di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di piazza Fontana (Ponte alle Grazie, 2009, euro 16,30), poteva andare peggio. Rimane la balzana storia delle due valigie e della doppia bomba (una delle più contestate alla ricostruzione di Cucchiarelli) secondo cui Valpreda avrebbe messo nella banca una prima borsa (poco più che un petardo) destinata a non far vittime, e una seconda sarebbe stata piazzata invece dall’estrema destra per fare una strage di cui poi incolpare gli anarchici del Circolo Ponte della Ghisolfa. Poi però Giordana, con la sceneggiatura dei “soliti” Rulli e Petraglia, devia dalla traiettoria del libro aggiungendovi un’ulteriore lettura nel dialogo tra il commissario Luigi Calabresi (un ottimo e somigliante Valerio Mastandrea) e il prefetto Federico D’Amato (Giorgio Colangeli, al solito impeccabile) con quest’ultimo che imputa la prima borsa ai fascisti e la seconda ai servizi. Insomma, un zig zag di ricostruzioni di un eccidio che ricordiamo, a 32 anni di distanza, non ha ancora colpevoli “ufficiali”. Sebbene tutti sanno che “la mano è fascista, la strage è di Stato”, come urlava nelle piazze la sinistra extraparlamentare.
Nel film prodotto da Cattleya (130 minuti che scorrono via d’un fiato) c’è tutto lo spaccato di un’epoca: gli anarchici e i fascisti, i poliziotti e gli infiltrati, i giudici, gli uomini dei servizi, i giornalisti. E i politici. Uno su tutti: Aldo Moro (Fabrizio Gifuni), coscienza pulita di una classe dirigente decadente e collusa. Eloquente è la scena in cui Moro sale al Quirinale ad incontrare il Presidente Saragat (Omero Antenutti) mostrandogli il suo privatissimo dossier nel quale, probabilmente, vengono messe in luce le responsabilità dell’establishment. Saragat è imbarazzato, balbetta, si innervosisce, è irrequieto. Interessante è il rapporto privato che Giordana filma tra Calabresi e Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico che morì cadendo giù dalla Questura di via Fatebenefratelli, mentre era sotto interrogatorio (fuori dai limiti consentiti per legge) del commissario e dai suoi uomini. Così come innovativa è la figura di Calabresi che dopo la morte di Pinelli entra in frizione con le autorità, preannuncia un suo abbandono dalla Polizia, si sente lasciato solo. Per cui sembra dallo scorrere delle immagini quasi che il suo omicidio sia dovuto alle conseguenze dei dissidi con il Viminale più che a una “spedizione punitiva” di Lotta Continua come emerso in sede processuale. A proposito di LC lascia a desiderare che essa sembri manovrata dai servizi (sono loro a passare la velina su Calabresi “addestrato dalla Cia”). Come del resto dei dubbi solleva la scelta di Giordana di prediligere l’ipotesi che Calabresi fosse fuori stanza mentre Pinelli cadeva dalla finestra del suo ufficio nonostante l’anarchico Lello Valitutti (se ne fa solo un breve accenno nel film) abbia testimoniato in aula il contrario.
Manca, infine, un’adeguata descrizione del contesto, il biennio rosso 1968-69, il movimento degli studenti a fianco degli operai, il sindacato dei Consigli. Insomma, il paese in movimento. Da fermare anche a colpi di stragi. Stragi di Stato ovvero compiute da uomini facenti parte direttamente degli apparati più coperti dello Stato, oppure da fascisti da loro personalmente organizzati, indirizzati, finanziati, protetti. Detto ciò, viste le premesse, Giordana passa il nostro personalissimo esame: un 6 “politico” considerando il tema.
Silvio Messinetti
Romanzo di una strage
Regia: Marco Tullio Giordana
Cast: Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon,
Laura Chiatti, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Giorgio Colangeli,
Omero Antonutti, Thomas Trabacchi, Giorgio Tirabassi, Fausto Russo Alesi,
Denis Fasolo, Giorgio Marchesi, Andreapietro Anselmi, Sergio Solli,
Antonio Pennarella, Stefano Scandaletti, Giacinto Ferro, Giulia Lazzarini,
Benedetta Buccellato
Produzione: Italia, 2012
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 129 min.
Uscita: venerdì 30 marzo 2012