
Si pensava una volta che l’intelligenza fosse solo quella logica, astratta, speculativa, ma nel 1983 lo psicologo americano Howard Gardner ha teorizzato le intelligenze multiple, e Goleman nei primi anni ’90 quella emotiva: dalla consapevolezza di sé, all’empatia, alle abilità sociali.
Chissà a quale tra tutte si riferiva Alda Merini, quando diceva che “Se le donne sono frivole, è perché sono intelligenti ad oltranza”. E forse non importa saperlo, perché la citazione è così bella che è meglio accoglierla così, intuitivamente.
Eppure, nel nostro sentire occidentale, frivolezza rimane sinonimo di vacuità, approccio superficiale al mondo, bamboleggiamento. Buona per essere narrata in storie di poco conto e per un pubblico che si accontenta facilmente: commediole, insomma. Diventa un problema cercarla nel cinema di qualità.
Riflettendoci, come buon esempio, un film si impone da sé: è Caramel di Nadine Labaki. A Beirut, un delicatissimo set cinematografico, quasi tutto all’interno di un salone di bellezza, diventa setting terapeutico: quattro donne si prendono cura l’una dell’altra e, tra uno shampoo, una ceretta, ed un tango struggente di sottofondo, vivono e risolvono i loro problemi: le vane attese dell’amante, il matrimonio da affrontare senza verginità, la paura del tempo che passa, l’attrazione inconfessata per un’altra donna.
Bella lezione dal giovane cinema mediorientale! Insieme all’ultima della stessa Labaki, “E ora dove andiamo”, dove la guerra (e i suoi lutti) e la leggerezza si mescolano in modo del tutto originale. Sono le culture che si affacciano ora alla modernità ad aver mantenuto intatto il fascino di una intesa femminile resa dai piccoli gesti, con in più il desiderio di raccontarcela. Fatichiamo invece a trovare nel nostro cinema qualcosa che vagamente somigli a questa sapienza millenaria. Forse anche nella letteratura.
Se come lettrici cerchiamo ospitalità lieve, dobbiamo entrare nelle stanze delle Donne dagli occhi grandi di Angeles Mastretta (e siamo a Puebla), o nel negozio indiano della Maga delle spezie di Chitra Banerjee Divakaruni, per farci inebriare dal profumo di cannella, zenzero, cumino, sesamo, radice di loto. Un altro modo, il suo, del prendersi cura.
Nella realtà, poi, nella nostra realtà, più che mai frivolezza e impegno sono due mondi paralleli che non si vogliono incontrare. Tendiamo a lasciare ciò che è frivolo alla sottocultura, e ciò che è serio ad una riflessione esprimibile solo a parole, un fiume inarrestabile di parole che affatica le nostre giornate.
Finché non si riesce a valorizzarla, di frivolezza se ne incontrerà sempre meno. A patto di volerci accontentare (e non vogliamo) di quella televisiva, dei frizzi da sabato sera, dei vari Ballando sotto le stelle o delle cronache dei matrimoni reali. Oppure delle poche buone narrazioni rese con grazia e lievità.
Non si tratta neppure però di raccontare storie con tocchi leggeri (dote rara, ma ancora reperibile); si tratta piuttosto di raccontarla, la lievità, e per farlo bisogna considerarla un bene, non una sciocchezza.
Sentite questo raccontino della Mastretta:
“Avrebbe voluto che suo marito le dicesse che era bella e che il suo amante le dicesse che l’amava. Impossibile. Stando così le cose, li lasciò entrambi e si comprò un grande specchio e le opere complete di Mozart. Non fu mai tanto felice come in quell’estate azzurra.”
Un grande specchio e Mozart: mica male!
Margherita Fratantonio