E’ fragile e spavalda, la figura di Valeria Ferro, interpretata da Miriam Leone, nella serie Non uccidere, di cui Rai Tre sta ora trasmettendo, il sabato sera, la seconda serie. Nei luoghi, che sono quasi sempre gli stessi (gli esterni di Torino e la questura), lei si muove infagottata in un maglione grigio, jeans aderenti, ma semplici e slavati, a voler nascondere il suo bel corpo, ostentato invece nella serie 1992 che va in onda la sera prima, il venerdì, su La7. Qui è una soubrette in cerca di successo, che si offre ad un uomo anziano perchè da lui può ricevere gli agganci giusti per approdare in tv. Ha in mente addirittura la conduzione di Domenica In, quindi bisogna mirare proprio in alto. E’ bella da togliere il fiato, sofisticata, impegnata a nascondere le sue debolezze, che pure di tanto in tanto si intravedono.
Nel ruolo dell’ispettrice Ferro invece si porta addosso sempre un’aria dimessa, senza trucco, col viso un po’ inclinato verso il basso, i capelli raccolti svogliatamente; persino la biancheria intima, quel poco che l’abbiamo vista spogliarsi, è di pizzo, sì, ma modesto. Fa parte della serie di commissari che piacciono, perché dedicano tutto il loro tempo alla soluzione di casi e non ammettono chiusure affrettate, rischiando il rapporto con i superiori. Più difficile per lei visto che con il suo capo, Giorgio Lombardi (Thomas Trabacchi), ha una relazione sentimentale che è forse l’unica sua fonte di sicurezza. E poi non ha al suo fianco un’altra donna, come spesso succede nei polizieschi in cui la protagonista è una figura femminile. Passa tutto il suo tempo insieme a colleghi maschi, che forse gradirebbero almeno ogni tanto un suo cedimento, e qualche sorriso in più.
Mette soggezione ed è tosta, Valeria, nel lavoro, va sempre dritta al cuore del problema e non importa se questo le costa notti insonni e nessuna forma di leggerezza. Anche la sua empatia nei confronti delle vittime è ridotta all’essenziale; mai una lacrima, mai una reazione emotivamente forte di fronte alle violenze. Perché una sola, intollerabile, violenza l’ha segnata fin da ragazzina: l’uccisione del padre da parte della madre, Lucia (Monica Guerritore), che ora, dopo sedici anni, è uscita dal carcere facendo affiorare ed esplodere tutta la sua rabbia, tenuta faticosamente a bada fin qui.
La prima serie si è conclusa con la certezza dell’innocenza della madre, ma con la sua determinazione a continuare nel silenzio. Valeria non deve sapere; cosa nasconde Lucia di così terribile, ancora più terribile del dolore in cui Valeria è cresciuta finora? Anche lo zio Giulio (Gigio Alberti) sa, e direbbe, ma non può per la promessa fatta a Lucia. Noi un’idea ce la siamo fatta, ma è tutta da verificare. Aspettiamo i tempi della storia, per poter dire quasi sicuramente che avevamo ragione o godere della sorpresa, dovesse esserci una risposta diversa dalla nostra.
Comunque sia, l’evento traumatico spiega la durezza che Valeria ha maturato nei confronti del mondo, e la sua ostinazione a scoprire le ombre all’interno delle famiglie in cui avvengono i delitti. “Persone che si sono amate al punto da arrivare ad odiarsi”, recita il concept del telefilm, “Gelosie, vendette, rabbie represse, o semplicemente raptus momentanei, in cui la verità insiste sempre a nascondersi”. Gli omicidi avvengono in piccoli sistemi, la famiglia, per esempio, ma nell’ultima puntata il setting dell’azione e di un duplice delitto era la scuola. Due ragazzine, liceali, si prostituivano, una di buona famiglia, l’altra no; una per capriccio, l’altra per “necessità”. La prima viene trovata morta in un hotel, dove ha perso la vita anche il suo professore di educazione fisica.
La questura si accontenta della soluzione più semplice: professore e allieva avevano una relazione, lui uccide lei per gelosia e poi si suicida. La moglie però dice che non è possibile e Valeria, senza tante smancerie, o dichiarate simpatie, e senza parole, le crede. Sa che questa professoressa alternativa e libertaria, e nello stesso tempo seria, dice la verità e le sue indagini continuano, anche dopo la chiusura ufficiale. Per la conferma poi, sua e nostra, che ne valeva la pena. Alla fine, la figura del professore viene riscattata, per una verità comunque non pacificatoria, perché non può esserci serenità dopo morti così brutali.
Gli episodi non si concludono mai con chissà quale sollievo, quasi a voler dire che per alcune oscurità rivelate, altre ce ne saranno, purtroppo, dietro la facciata della normalità.
Margherita Fratantonio
Nel ruolo dell’ispettrice Ferro invece si porta addosso sempre un’aria dimessa, senza trucco, col viso un po’ inclinato verso il basso, i capelli raccolti svogliatamente; persino la biancheria intima, quel poco che l’abbiamo vista spogliarsi, è di pizzo, sì, ma modesto. Fa parte della serie di commissari che piacciono, perché dedicano tutto il loro tempo alla soluzione di casi e non ammettono chiusure affrettate, rischiando il rapporto con i superiori. Più difficile per lei visto che con il suo capo, Giorgio Lombardi (Thomas Trabacchi), ha una relazione sentimentale che è forse l’unica sua fonte di sicurezza. E poi non ha al suo fianco un’altra donna, come spesso succede nei polizieschi in cui la protagonista è una figura femminile. Passa tutto il suo tempo insieme a colleghi maschi, che forse gradirebbero almeno ogni tanto un suo cedimento, e qualche sorriso in più.
Mette soggezione ed è tosta, Valeria, nel lavoro, va sempre dritta al cuore del problema e non importa se questo le costa notti insonni e nessuna forma di leggerezza. Anche la sua empatia nei confronti delle vittime è ridotta all’essenziale; mai una lacrima, mai una reazione emotivamente forte di fronte alle violenze. Perché una sola, intollerabile, violenza l’ha segnata fin da ragazzina: l’uccisione del padre da parte della madre, Lucia (Monica Guerritore), che ora, dopo sedici anni, è uscita dal carcere facendo affiorare ed esplodere tutta la sua rabbia, tenuta faticosamente a bada fin qui.
La prima serie si è conclusa con la certezza dell’innocenza della madre, ma con la sua determinazione a continuare nel silenzio. Valeria non deve sapere; cosa nasconde Lucia di così terribile, ancora più terribile del dolore in cui Valeria è cresciuta finora? Anche lo zio Giulio (Gigio Alberti) sa, e direbbe, ma non può per la promessa fatta a Lucia. Noi un’idea ce la siamo fatta, ma è tutta da verificare. Aspettiamo i tempi della storia, per poter dire quasi sicuramente che avevamo ragione o godere della sorpresa, dovesse esserci una risposta diversa dalla nostra.
Comunque sia, l’evento traumatico spiega la durezza che Valeria ha maturato nei confronti del mondo, e la sua ostinazione a scoprire le ombre all’interno delle famiglie in cui avvengono i delitti. “Persone che si sono amate al punto da arrivare ad odiarsi”, recita il concept del telefilm, “Gelosie, vendette, rabbie represse, o semplicemente raptus momentanei, in cui la verità insiste sempre a nascondersi”. Gli omicidi avvengono in piccoli sistemi, la famiglia, per esempio, ma nell’ultima puntata il setting dell’azione e di un duplice delitto era la scuola. Due ragazzine, liceali, si prostituivano, una di buona famiglia, l’altra no; una per capriccio, l’altra per “necessità”. La prima viene trovata morta in un hotel, dove ha perso la vita anche il suo professore di educazione fisica.
La questura si accontenta della soluzione più semplice: professore e allieva avevano una relazione, lui uccide lei per gelosia e poi si suicida. La moglie però dice che non è possibile e Valeria, senza tante smancerie, o dichiarate simpatie, e senza parole, le crede. Sa che questa professoressa alternativa e libertaria, e nello stesso tempo seria, dice la verità e le sue indagini continuano, anche dopo la chiusura ufficiale. Per la conferma poi, sua e nostra, che ne valeva la pena. Alla fine, la figura del professore viene riscattata, per una verità comunque non pacificatoria, perché non può esserci serenità dopo morti così brutali.
Gli episodi non si concludono mai con chissà quale sollievo, quasi a voler dire che per alcune oscurità rivelate, altre ce ne saranno, purtroppo, dietro la facciata della normalità.
Margherita Fratantonio