Il cinema
che ha come tematica l’Olocausto sembrava da tempo esaurito quanto ad
originalità narrativa e ideologica. Ha provveduto László Nemes a
farci cambiare idea con il suo esordio dietro la macchina da presa con Il
figlio di Saul, Gran Premio Speciale al Festival di Cannes, e ormai sicuro
Oscar come miglior film straniero (non c’è bisogno che aspettino la notte
fatidica: è già suo). Il regista ungherese, già assistente alla regia del
maestro Béla Tarr, rende originale il racconto di un tema doloroso e tragico
raccontando la sua vicenda dal punto di vista del membro di un sonderkommando (i prigionieri dei campi
di concentramento scelti dalle SS per accompagnare i compagni di sventura
destinati alle camere a gas, che poi rimuovevano i cadaveri, raccoglievano
abiti e oggetti, ripulivano e bruciavano i corpi). Tutto veniva fatto con
grande velocità, come fosse una catena di montaggio, dove ognuno aveva un
compito specifico. I cadaveri non erano esseri umani, ma stück,
letteralmente pezzi, da rimuovere una volta che, dentro la camera a
gas, avessero finito di urlare, lamentarsi e aspettare di morire. I membri dei
sonderkommando venivano in genere scelti perché in buona salute, magari di
buona stazza, in grado di trascinare e spostare i “pezzi”. Erano riconoscibili
perché portavano sulla schiena della giacca una X rossa
dipinta, per distinguerli da tutti gli altri e quindi non poter essere
“accidentalmente” mandati sotto le docce al nervino quando dovevano svolgere il
loro lavoro. Venivano utilizzati per periodi di pochi mesi. Poi si può
immaginare benissimo quale fosse la loro fine. Non dovevano poter testimoniare
gli orrori. Se quel giorno i forni non erano sufficienti, si scavavano buche
dove i prigionieri venivano fatti cadere, uccisi con un colpo in testa e bruciati
con la fiamma ossidrica, riversando sopra il grasso dei loro stessi corpi,
cosicché potessero sciogliersi più velocemente. Era un’organizzazione
maniacalmente precisa, da fare invidia al sistema fordista. Il figlio di
Saul (non è un caso il rimando biblico nel titolo) mette in scena
tutto questo sviluppandolo all’interno di un solo giorno quando il
protagonista, Saul, vede il corpo di un ragazzino che ancora respira dopo
essere stato nelle camere a gas. L’uomo assiste all’uccisione per soffocamento
del ragazzino ed è costretto a portarlo nella sale per le autopsie, perché non
può essere che qualcuno sopravviva a tutto quel gas. Ma Saul vuole seppellire
quel corpo alla presenza di un rabbino. Sarà quella la missione di quel giorno
della sua vita. Perché in quel corpo Saul crede di riconoscere suo figlio. A
interpretare Saul c’è Géza Röhrig, artista ungherese che vive a New York,
assolutamente perfetto nell’essere seguito dalla macchina da presa. Un film che
ripercorre gli orrori attraverso i suoni assordanti, perfettamente ricostruiti,
di quell’inferno, la catena di montaggio di un’industria omicida alla sua
massima produzione, dove tutto doveva essere fatto in fretta e con
professionalità. Nemes realizza un film che non solo è necessario vedere, ma ridefinisce
il genere del cinema sull’Olocausto realizzando una verosimiglianza che fino a
questo momento, attraverso storie di eroismo e dolore, non era mai arrivate a
tale sincerità e onestà di racconto. Perché il regista, classe 1977, la cui
famiglia è stata sterminata ad Auschwitz, mette in scena il lavoro pratico di
quel mondo, senza alcuna retorica, scena madre, psicodramma, affidando
all’unico sguardo del protagonista, che sembra costruire attraverso quell’unica
espressione persa nel vuoto del suo sguardo l’essenza del male fatto e subito,
che come un automa è costretto a compiere tutto quello che gli viene detto.
“Chi salva un uomo, salva il mondo intero” recita un vecchio adagio ebraico. A
Saul invece viene detto che vuole tradire i vivi per un morto. In realtà lui
cercando di seppellire quel corpo vuole ridare dignità ai vivi. Un film
meraviglioso, che non dura un secondo più del necessario, che lascia incollati
allo schermo, per il quale la parola capolavoro, per una volta, non suona
eccessiva.
Erminio Fischetti
Il figlio di
Saul
Regia:
László Nemes
Interpreti: Géza Röhrig, Levente Molnár, Urs Rechn, Sándor Zsótér, Christian
Harting, Kamil Dobrowolski
Produzione:
Ungheria, 2015
Durata: 107’
Distribuzione:
Teodora, 21 gennaio 2016
Voto: 4,5/5