comprerei
i mobili e darei al gatto un nome!"
Ha più di cinquant’anni e non li dimostra: ed è bello regalarsi la sua visione, da quando il film è uscito anche in blu-ray, restaurato niente di meno che dall’Academy of Motion Pictures Arts and Science (l’organizzazione che assegna i premi Oscar).
È
bello poter ricollocare nella sua cornice narrativa quelle scene che
sono rimaste nel nostro immaginario. L’incipit, soprattutto:
Haudry, e il suo vestito nero, i gioielli, la colazione consumata
davanti alla vetrina dei sogni, come una piccola fiammiferaia
frivola; il fischio possente per chiamare il taxi, lei così fragile;
il bacio finale sotto la pioggia!
Holly
Golightly: la leggerezza della sua andatura, dei gesti e persino del
cognome (Golightly, alla leggera); il viso acqua e sapone nonostante
il trucco, le movenze da donna fatta, con i tacchi alti e il
rossetto. Quanto sarebbe diverso “Colazione da Tiffany”, se
davvero fosse stata scelta Marylin, come pretendeva Truman Capote,
autore del romanzo da cui è tratta la vicenda! Pensava alla Monroe
per la spregiudicatezza che lei avrebbe meglio suggerito; ma è
proprio il contrasto tra il corpo adolescenziale di Audrey Hepburn,
gli occhioni stupiti sul mondo, dietro all’esagerazione degli
occhiali da sole, e le paturnie, come lei definisce le sue piccole
depressioni, che dà spessore alla sua figura, lieve dalla prima
inquadratura all’ultima.
Perché
Holly è un personaggio tragico che si rifiuta di esserlo, con
un’alzata di spalle, una battuta, una sigaretta e qualche bicchiere
di whisky in più. Nevrotica come il suo gatto senza nome, come lei
randagio e ingenuo, che si difende osservando tutto dall’alto dei
mobili, Holly non vuole entrare nel vivo delle relazioni. Monella e
dispettosa, continua a suonare il campanello del vicino di casa
isterico e, per mantenersi, esce con uomini facoltosi (forse non ci
esce soltanto, ma non importa) nell’attesa di quello ricco da
sposare. Senza sfumature, divide i suoi accompagnatori in “vermi e
super vermi”: i peggiori sono i super vermi sotto spoglie di verme.
Se
girellate su Wikiquote ne troverete un bel po’ di citazioni tratte
da Colazione da Tiffany. La migliore? “Certe luci della
ribalta rovinano la carnagione, a una ragazza”. Vuol essere una
consolazione, ma riflette alla grande il conflitto, del tutto
inconsapevole, in cui si dibatte la nostra Holly, che in realtà si
chiama Lula Mae. A quattordici anni è stata adottata (e sposata) da
un uomo semplice, un buon padre di famiglia, un texano che ora è
tornato a riprendersela, e, nonostante il suo rifiuto, si preoccupa
di lei e della sua magrezza: “Dalle un'occhiata tu ragazzo. E vedi
che mangi un po' di più. È tutt’ossa”.
Il
ragazzo che dovrebbe darle un’occhiata, è Paul, scrittore
inaridito e mantenuto da una donna ben più grande di lui. Tra i due,
da subito, un’amicizia fatta di complicità, apertura e
confidenza. Ci sarà l’amore, certo: che commedia americana
sarebbe, senza! Di lui Holly si fida, perché non è un verme (i suoi
giudizi psicologici non sono molto sofisticati!). Lo scandalizza con
le sue logiche fintamente disinibite. Esibisce la sua sregolatezza,
quasi volesse un testimone per dare loro un senso. E’ una falsa
vera, dice di lei un suo amico, compagno di mondanità e di bevute, e
in quest’ossimoro c’è tutta la personalità di Holly-Lula Mae. E
anche una “matta allegra”, ma non c’è follia in lei, se non la
caparbietà nel rimuovere un passato doloroso, il cui unico legame è
il fratello Fred.
Sarà
la notizia della sua morte forse il primo momento di consapevolezza:
Holly decide di sposare Jorge, uomo facoltoso e anche lui “non
verme”. Studia il portoghese per partire per il Brasile con lui, fa
maldestramente la maglia e altrettanto maldestramente impara a
cucinare. Come fosse di colpo caduta nell’eccesso opposto. Ma è
ciò che avviene sempre quando si vogliono reintegrare le parti
rinnegate (o scisse) e ci vuole un po’ perché si trovi il giusto
equilibrio.
Paul
con il suo amore, ma soprattutto con la sua presenza, sarà il
catalizzatore di questo delicato processo di integrazione. Holly
diventerà una Lula Mae cresciuta, più autentica, ed è questo il
risultato migliore del film, al di là di un happy end che ci fa
tutti più contenti. È buona cosa infatti che la storia non sia
finita come il romanzo (con la partenza di lei), perché niente
avremmo saputo sul suo cambiamento; anzi, sarebbe rimasta così,
sempre in bilico tra il presente fasullo e la rinnegazione del
passato. “Il terribile, tesoro, è che sono ancora Lula Mae…. la
Lula Mae che ruba uova di tacchino e che, appena può, scappa nella
prateria... solo che adesso lo chiamo avere le paturnie”.
Anche
Paul ha smesso di recitare la parte dello scrittore impegnato. Dice
di scrivere un romanzo. Dal ’56? Chiede Holly, e siamo nel ’61!
Difficile scrivere senza il nastro nella macchina. Holly lo dice con
la sua solita nonchalance, una frase che deve aver lasciato un segno
però nell’apparente sicurezza di Paul. Così come saranno incisive
alcune affermazioni di Holly sulla sua realtà da mantenuto. Insomma:
grazie a lei, lui ricomincerà a scrivere e chiuderà la sua
relazione stantia. Solo così potrà permettersi di dire a Holly: “La
gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia
dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di
fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per
imbatterti in te stessa”.
Sono
frasi urlate, magari anche di psicologia spicciola, ma non
sottilizziamo, dai... in fondo cinquant’anni sono davvero
tanti! Ad ogni modo, faciliteranno la consapevolezza finale e
l’intuizione della giusta scelta, quella di non continuare
instancabilmente a fuggire e a recitare.
Colazione
da Tiffany è la storia di due persone che si incontrano, si
fidano, si confidano (scambiandosi le bugie che raccontano a loro
stesse), e guadagnano poi verità e completezza, non tanto per quello
che si dicono, ma nella sincerità del non detto, e nella trasparenza
della relazione.
Grazie
a questo, ora Holly potrà comprare i suoi mobili e dare un nome al
gatto. Noi possiamo sempre rivederla, e canticchiare Moon River,
quella dolcissima colonna sonora, che, insieme al fascino di Haudry
Hepburn, ha fatto la fortuna del film.
Margherita Fratantonio
Margherita Fratantonio