Diaz, quando il cinema politico si fa cibo per le masse

  
Una "bottiglia" lanciata per protesta vale un massacro? Questo è il leitmotiv che ci propone con efficacia visiva Daniele Vicari in Diaz, pellicola attesa e criticata in questi giorni da Vittorio Agnoletto, leader del Genoa social forum 2001. La finzione che ci propone il regista è un'operazione diversa da quella intrapresa da Carlo A. Bachschmidt, anche se nel film a tratti sembra di riconoscere i ragazzi del documentario Black Block  del 2011. Il potere di raccontare storie partendo dal particolare per arrivare all'universale come fece  magistralmente, per esempio, Ettore Scola in Una giornata particolare (1977), è l'essenza del cinema stesso.  Poetizzare gli eventi è ciò che è mancato per esempio al recente Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, che invece è stato più attento a rendere pubblici nomi e cognomi.
Se il grado massimo dell’orrore nella storia del Novecento è stato toccato con  Auschwitz, alle atrocità di Genova 2001 si può solo controbbattere con l'estetica di un cinema politico che mostra il sangue vivo che scorre tra le pareti della scuola incriminata. Anche se il regista avrebbe potuto, come asserisce Agnoletto, contestualizzare leggermente meglio tutta l'opera estetica cinematografica in cui, tranne dei scivoloni dove si cerca di delegittimare gli antagonisti che hanno lottato, che hanno compiuto atti rappresentativi contro il capitalismo, rappresentati dal ragazzo Etienne, il prodotto è degno di nota. Perché  egli si deve sentire in colpa alla fine dicendo: "Cercavano noi", una entità collettiva, una frase simbolo che comunque sembra legittimare l'esistenza di un blocco nero distruttivo senza ideali, responsabile per riflesso della mattanza nei confronti degli innocenti della Diaz.
Vicari propone da tutti i punti di vista non mera cronaca, ma la patetizzazione della Storia come fece Pier Paolo Pasolini in Salò o le 120 giornate di Sodoma del 1975 (il ragazzo che viene torturato e costretto ad abbaiare non è molto lontano dai giovani che vengono costretti a mangiare gli escrementi nella visionaria ma vividamente reale opera pasoliniana).
Questa pellicola dopo tutto è un doveroso approfondimento artistico post-documentaristico, un'opera che raggiunge il più alto livello lirico del dolore dei vinti deleuziani. La potenza delle immagini che aprono uno squarcio nell'omesso della scuola, il grido soffocato degli innocenti è liberato dalla forza del cinema e quindi della poesia fatta immagine, quella poesia che non si nutre di statistiche, dati, numeri, atti ma di vite umane, di volti, di storie nella Storia con la “S” maiuscola, capaci di far indignare lo spettatore, per alimentare e rendere fervente la memoria collettiva.
Nel film la violazione dei diritti universali dell'umanità viene investita dal movimento dionisiaco che si fa messaggio per i profani, quel cinema che rende lo spettatore attivo e lo predispone a porsi domande capitali, indipendentemente se si convertirà oppure no. Questa è la missione che  la settima arte si deve porre.
Diaz ha tutta l'aria di un'operazione artistica e nel contempo commerciale, ibrida, ambigua come l'essenza del cinema stesso, arte per le masse; ben venga, per far si che una più grande fetta di pubblico possa conoscere la brutta storia per eccellenza, trovando luogo di approfondimento sulla realtà dei fatti in altre opere più di nicchia e lasciando gli atti processuali ai documentari, dibattiti politici e alle più asettiche ma comunque utilissime inchieste giornalistiche.

Sonia Cincinelli






Diaz
Regia: Daniele Vicari
Cast: Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich,
Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou
Produzione: Italia, 2012
Distribuzione: Fandango
Durata: 120 min.
Uscita: 13-04-2012
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