Desperate Living: quando Biancaneve amava uno spazzino nudista

John Waters è decisamente un autore sui generis: poco conosciuto in Italia, negli USA è invece piuttosto famoso come  “il re del disgusto” o “il papa del trash” per via dei suoi film, basati sull’esibizionismo sfacciato di personaggi, storie e particolari disgustosi.
Desperate Living non fa eccezione: il film è impostato come una favola, raccontata sul binario della stravaganza e della depravazione, e idealmente costituisce la realizzazione delle ambizioni “fiabesche” del regista (un progetto watersiano mai portato a termine è l’adattamento del Mago di Oz, di cui si trovano riferimenti in un film giovanile come Mondo Trasho).
Qui  la protagonista è Peggy Gravel, un’alto-borghese madre di famiglia che soffre di esaurimento nervoso.
Nel corso di una crisi, Peggy esorta la grassa domestica Grizelda a uccidere suo marito (cosa che lei esegue sedendovisi sopra e soffocandolo col proprio fondoschiena!).
Da quel momento le donne sono costrette a darsi alla fuga, alla ricerca di un riparo dalla giustizia; s’imbattono subito in un poliziotto erotomane che, in cambio delle loro mutande, le indirizza verso la città di Mortville: in questo villaggio criminali e pervertiti girano a piede libero ma devono sottostare al potere autoritario della regina Carlotta. Costrette dalla necessità, Peggy e Grizelda si dirigono a Mortville.
La trama rispetta la struttura-base della favola: dopo aver superato la prova imposta dal poliziotto in guêpière, i personaggi raggiungono un luogo abitato da una regina cattiva, una principessa oppressa e un castello fiabesco (modellato in maniera molto approssimativa su quello di Disney World, su richiesta del regista). Qui  i personaggi devono sconfiggere la regina cattiva per ripristinare l’ordine sociale, sconvolto dal suo potere assoluto.
La particolarità è nello stile grottesco che permea l’atmosfera. Gli abitanti di Mortville, ad esempio, non rispettano l’immagine tradizionale del popolo oppresso perché sono tutti personaggi equivoci: pervertiti, nudisti, feticisti e assassini che coltivano le proprie abitudini col consenso della comunità, in cambio dell’obbedienza alla monarca e ai suoi stravaganti capricci. La regina Carlotta (interpretata da Edith Massey, ripugnante e indimenticata caratterista del regista) condivide le medesime perversioni dei suoi sudditi, che tuttavia disprezza a causa della loro miseria e volgarità; perciò decide di sterminarli con un’epidemia di peste, aiutata in questo dall’altezzosa Peggy Gravel, sprezzante di superiorità sociale nei confronti dei bifolchi di Mortville.
A prima vista è facile etichettare questo film come una bagattella, dimenticabile se non per i suoi particolari disgustosi. Ciononostante vi sono aspetti che inducono a considerarlo un film d’autore; certo non un autore celebre come Tarantino o Kubrick, ma comunque uno abbastanza coerente e singolare da aver sviluppato un suo stile peculiare.
C’è da notare intanto che la trama è cosparsa di riferimenti a una specifica tradizione cinematografica statunitense, quella dei B movies (impropriamente tradotti come “film di serie B”) e dei Midnight movies: questi erano circuiti diffusi un po’ ovunque a partire dagli anni ’50, che proiettavano film alternativi a quelli mainstream a beneficio di un pubblico che comprendeva studenti, comunità underground e semplici curiosi, che volevano assistere a qualcosa di diverso dai film hollywoodiani .

Desperate Living si propone dunque come un film sorto da questo background  e che da questo background prende le mosse, con citazioni precise ai filoni del porno gay e lesbico (scene di combattimenti tra donne, un bar di lesbiche esagitate, il montaggio parallelo di due deliranti scene di sesso) e riferimenti a icone USA “alternative” come Charles Manson e Liz Renay (in Italia, sull’onda del successo crescente del regista, si provò a promuovere il film presso il pubblico underground, intitolandolo significativamente Nuovo punk story).
Oltre a questo sono presenti diversi riferimenti alla Disney, come il succitato castello e il costume da strega di Peggy Gravel, modellato su quello della strega di Biancaneve (del resto l’immaginario della Disney possiede un potenziale camp* irresistibile, e Waters è innegabilmente un regista campy).
Desperate Living rivela anche un sottotesto politico nella dicotomia tra aristocratici-borghesi e bifolchi-miserabili, in cui questi ultimi risultano, alla fine, i vincitori dal punto di vista etico e materiale; tuttavia non bisogna dimenticare che il messaggio politico rimane sempre sullo sfondo, perché ciò che interessa alla regia è principalmente il contorno della storia, la sua superficie di personaggi disgustosi e dettagli ripugnanti (l’inquadratura di un cane morto sulla strada che viene travolto due volte, l’auto-evirazione di un personaggio che poi butta il pene reciso a un cane di passaggio); è proprio questo stile disgustoso che dà coerenza e riconoscibilità ai film di Waters, che di recente è stato citato a sua volta in Kill Bill: non sono in molti a sapere che Tarantino ha tratto una delle sue scene più famose proprio da Desperate Living.
Per scoprire quale, al lettore prepararsi di stomaco e immergersi nel favoloso (?) mondo di Mortville.

 * http://it.wikipedia.org/wiki/Camp_(arte)

Simona Baltieri






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