Un mondo fragile di César Acevedo

Tutto il mondo è fragile, oramai, se pure in questa storia colombiana lo è di più; non si capisce come mai rinunciare al titolo originale, La tierra y la sombre, che rende la fatica, il tormento, la sofferenza a cui uomini e terra sono sottoposti, insieme. Ma anche l’idea dell’ombra, scura e spessa sui corpi e sull'esistenza dei protagonisti, che si fa consolazione quando è l’albero a regalarla. Sotto la sua protezione il nonno insegna al nipote i diversi canti degli uccelli, così come aveva fatto con il figlio quando era piccolo. Moglie e marito si riconciliano, la madre e il suo bambino giocano tra loro concedendosi una pausa durante l’agonia del padre.

Una famiglia segnata dalla separazione prima, dalle difficoltà materiali poi. Nell'incipit del film, il vecchio contadino Alfonso (come gli altri, attore non professionista) torna dopo diciassette anni di assenza. Ci viene incontro in una sequenza lunghissima ed è il primo dei tanti quadri di cui si compone la pellicola. Lo stesso regista ha voluto ricordare Tarkovskij, quando sosteneva che per i tempi della narrazione e delle inquadrature bisogna prendersi il tempo necessario, per “sentire e vedere quello che si sta vivendo”. E cita pittori come Jean Francois Millet o Andrei Wyeth. Un invito: guardare le spigolatrici del primo e gli interni, gli esterni del secondo prima o subito dopo la visione del film per avere conferma del lavoro di ricerca, nel creare di volta in volta immagini forti, nitide, e poetiche.

I dialoghi sono ridotti all'essenziale, e anche l’azione. Sono i volti a parlare, le espressioni, le rughe ricoperte di cenere, quella che piove quando si bruciano interi campi di canne da zucchero. Cenere che rovina la pelle e i polmoni, che può portare alla morte, in una società dove l’assistenza sanitaria è un miraggio. Di questo si ammala il figlio di Alfonso, Gerardo, per il quale il vecchio torna e proprio lui, che sembra aver dimenticato la famiglia, abbandonandola allora, si fa ora elemento di unione, di solidità.

Strano che un regista così giovane abbia trovato il linguaggio per parlarci di temi che appartengono ad un’età molto più avanzata della sua: il ritorno, il rimpianto, l’attaccamento alle radici, che Alfonso sta riscoprendo e la moglie Alicia non ha mai voluto mettere in discussione. Ma César Acevedo racconta che lo spunto del film è molto soggettivo, quasi a pacificarsi con l’assenza dei genitori e a soddisfare il desiderio di ricucire con il passato.

Meno strano invece che abbia costruito un’opera di denuncia sulla situazione di semi -schiavitù dei corteros colombiani, uomini e donne, anche in età, costretti a lavorare senza contratto, anzi, peggio ancora, con contratti fasulli di fasulle cooperative. Risultando soci e non dipendenti, non hanno nessun diritto, nessuna rappresentanza sindacale, né tutele per incidenti o malattie, men che meno la pensione. Gerardo non può più lavorare; vanno quindi la moglie Esperanza e la madre Alicia, ma vengono licenziate perché, nonostante la giornata massacrante e la solidarietà dei compagni, non rendono abbastanza.

Un mondo fragile, che sembra trovare solo nella famiglia una sponda per non precipitare del tutto, ha incontrato il patrocinio dell’Associazione Slow FoodItalia, perché, dall'inizio alla fine, pone in maniera drammatica e realistica il problema della sostenibilità ambientale. Che non appartiene soltanto al Sud America, ma al mondo intero, perché, ripetiamolo, vive tutto in una preoccupante fragilità.

E appartengono al mondo anche i temi sociali di cui La tierra y la sombre si fa portavoce, tanto che ultimamente si stanno moltiplicando i film d’impegno, come ha dimostrato l’ultimo festival di Venezia. Qualche mese fa abbiamo visto Vulcano (Jayro Bustamante), presentato alla Berlinale. Anche qui, il conflitto tra l’andare e il rimanere, anche qui l’inospitalità di una natura offesa, che poi offende chi non la rispetta. Se la protagonista di Vulcano può partire solo dopo il morso di un serpente, anche nel film di César Acevedo, il cambiamento è preceduto o causato dal dramma, e un prezzo alto, troppo alto da pagare. Eppure, il giovane regista è riuscito a regalarci una storia coraggiosa, con uno sguardo dolente ma non rinunciatario, né rassegnato. Premiato a Cannes con la Camera d’Or durante la settimana della critica, il film uscirà nelle sale il 24 settembre.

Margherita Fratantonio






Un mondo fragile 
La tierra y la sombre
Regia: César Augusto Acevedo
Sceneggiatura:César Augusto Acevedo
Interpreti: Haimer Leal, Hilda Ruiz , Edison Raigosa, Marleyda Soto, José Felipe
Produzione: Colombia / Francia / Olanda / Cile / Brasile, 2015
Distribuzione: Satine Film
Durata: 97’
Data uscita in Italia: 24 settembre 2015







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