148 Stefano, mostri dell'inerzia (2011) di Maurizio Cartolano

Il padre, la sorella, l'avvocato di famiglia, il giurista, il noto medico, l'esperto di strutture penitenziarie, un trio di cronisti di giudiziaria. Ed ancora, il quartiere, il campetto di calcio, la tangenziale, Porta Maggiore. Ma soprattutto una persona, un ragazzo di 31 anni, arrestato, tradotto in carcere, picchiato in tribunale e lasciato morire in ospedale. La vita (e la morte) di Stefano Cucchi diventa un documentario: 148 Stefano, morti dell'inerzia. Presentata in anteprima al Festival del cinema di Roma, l'opera di Maurizio Cartolano è già un successo. Almeno a giudicare dal folto pubblico in sala (biglietti esauriti da giorni) e dagli scroscianti applausi al termine della proiezione.
"Perché la tragedia di Cucchi- spiega Fabio Anselmo, il legale della famiglia- non consiste soltanto nella negazione dei diritti (alla difesa, alle cure mediche, al trattamento penitenziario, ad un giusto processo) ma nella negazione della vita. A Stefano quel cortocircuito medico- giudiziario- carcerario ha tolto il diritto al bene primario, il diritto alla vita. E tutto questo deve far riflettere perchè mai più accada". Scorrono le immagini di Tor Pignattara, area multietnica a sud di Roma, tra la Casilina e la Prenestina. Dove Stefano era nato e cresciuto. Una vita difficile, la sua. Caduto più volte nella trappola della droga, era riuscito a tirarsi fuori dal tunnel. E non è certo morto per l'uso di sostanze come il sottosegretario (!) Carlo Giovanardi, tra il serio e il faceto, ha l'ardire di sostenere. Stefano, al contrario, è spirato in circostanze drammatiche perchè il carcere anzichè essere una struttura protetta è un luogo franco dove il sopruso e l'angheria la fanno da padroni. Il giorno dell'arresto Stefano in tribunale «non era normale, aveva il viso gonfio come un pallone. Uscito dall'aula, si avvicinò a me dicendo "Papà, è finita". Gli risposi "Stefano, noi ti aiutiamo, però vai in comunità"; e lui "Papà, ma lo vuoi capire che mi hanno incastrato?"». L'episodio viene raccontato da Giovanni Cucchi con dignità e fermezza. C'è poi la sorella di Stefano, Ilaria, a cui si deve il merito di aver fatto diventare la vicenda di dominio pubblico. Perchè lo "scandalo Stefano Cucchi" è esploso da quando la famiglia decise di far pubblicare sulla stampa le foto di Stefano all'obitorio. Fu allora che i genitori videro il figlio dopo una settimana di angoscia : «Non era più lui, era una maschera, un teschio. Massacrato, irriconoscibile». Più o meno la stessa sorte che era capitata a Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva (ed ,aggiungiamo noi, a Carlo Giuliani anche se in circostanze diverse). Ragazzi, tutti under 30, a cui uomini in divisa han troncato l'esistenza nel fiore degli anni. Parla la madre di Aldrovandi, Patrizia Moretti, e racconta il clima di omertà e impunità che aleggiava durante il calvario giudiziario in seguito alla morte del figlio. Accanto a lei la madre di Uva e Ilaria Cucchi. "Mio fratello è stato lasciato solo per quattro ore su una panca di ferro con la schiena rotta. Nel nostro paese il detenuto è carne da macello, la vita umana non conta nulla. Stefano, poi, non solo era detenuto ma era pure sfigato: perchè non lo conosceva nessuno". Grazie al suo coraggio (e oggi al docufilm di Cartolano) invece lo scandalo è venuto alla luce. Ed aspetta solo giustizia.

Silvio Messinetti


148 Stefano, mostri dell’inerzia
Regia: Maurizio Cartolano
Produzione: Italia, 2011
Durata: 65 min.
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