Ecco. Un altro professore in crisi di ruolo e, come se non bastasse, in crisi d’età. Se ne incontrano parecchi ultimamente al cinema e nella narrativa; non vi dico quanti nella scuola! Con una differenza sostanziale tra la vita e lo schermo: nei film gli attempati professori si fanno personaggi, e mentre saldano i conti con il loro spento passato, ingrigiti e irrigiditi da troppa scuola, cercano nuove aperture, che possano dare senso all’ esistenza. E’ così per il professore Walter Vale dell’Ospite inatteso, che all’inizio della vicenda ricicla il programma degli anni passati sostituendo la data con un tocco di scolorina, ma che poi vive, per fortuna, un cambiamento non da poco; lo stesso succede al professore del film Parigi, interpretato da un credibilissimo Fabrice Luchini, invaghito qui di una studentessa fino a mandarle versi di Baudelaire sul cellulare; inizia anche un percorso terapeutico, a dispetto di ciò che pensava Freud, che oltre una certa età non ne valga più la pena.
Josef Tkaloun, il professore di letteratura ceca in Vuoti a rendere, ha in serbo una bellissima frase per chiudere la situazione nella quale non si riconosce più, per chiudere e forse ricominciare, e se ne esce due volte nel film dicendo: “Vado via perché qui non sono più felice”. Invidiabile! Potessimo dirlo noi con tanta naturalezza!
E così lui lascia la scuola (a pieno diritto, visti i suoi sessantacinque anni) dopo una scena che può sembrare paradossale, ma solo per chi non ha mai pretesto di trasmettere il fascino della poesia. Per chi invece si ostina a farlo (come chi scrive) è un momento di vita quotidiana. In ogni classe s’incontra il solito ragazzino sbruffoncello, resistente all’apprendimento, quello che per intenderci cerca e vuole mantenere il proprio ruolo con la provocazione, sempre.
La poesia di Jaroslav Vrchlický che Joseph non riesce a spiegare per le spiritosaggini del suo allievo è bellissima:
...per un po' d'amore in capo al mondo andrei
andrei a capo scoperto e a piedi scalzi
per un po' d'amore in capo al mondo andrei
come chi sta davanti a una porta e chiede...
Anche Joseph andrebbe in capo al mondo per un po’ d’amore, sia quello sognato la notte (erotico e irraggiungibile), sia quello immaginato; l’altro, quello di giorno, non sembra più realizzabile. La moglie è sempre distratta, lontana nella eccessiva vicinanza del pensionamento (eppure anche lei così desiderosa d’amore!); la collega disponibile perde il fascino peccaminoso via via che l’incontro si avvicina.
Così lui giustamente pensa ad altri lavori e, dopo un’esperienza fallimentare come pony express, lo troviamo in un supermercato a ritirare vuoti di bottiglie; Joseph è contento con occupazioni che la moglie e la figlia giudicano degradanti, ma che per lui sono la vita, perché alla vita rispondono. E’ felice di lavori che finalmente non hanno bisogno di libri, di citazioni, di saperi che non siano quelli di un’esistenza vissuta e non soltanto letta. “La carne è triste, ahimé, e ho letto tutti i libri” diceva Mallarmè ed è forse questo il principio a cui si ispirano i lavori semplici e gratificanti di Joseph.
Da una piccola finestrella che comunica con il grande supermercato, lui parla con i clienti e li ascolta come chi ha raggiunto oramai una certa saggezza: dispensa consigli, combina matrimoni, consola, escogita bugie per il bene altrui. Inventa, e con piccoli indizi costruisce storie sulle vite delle persone che si affacciano al suo sportello.
Da magazziniere si fa assistente sociale, counselor, babysitter, porta la spesa a casa della vecchietta lagnosa e bada persino il cane di una cliente. Accoglie, incoraggia, non giudica.
Si troverebbe perfettamente a suo agio, Joseph, se non fosse deriso dalla moglie Eliska, la quale vive come un abbandono il suo star fuori di casa; carina la battuta di lui sul suo sentirsi un marito “bentornato”, cioè uno che al lavoro pensa alla moglie e quando torna urla “Ciao, cara, sono tornato!”, ma per far questo è necessario che prima sia uscito di casa!
Cosa deve fare di più Joseph per spiegare al mondo che si sente invecchiare, ma non si ritiene ancora del tutto vecchio? Che non è pronto per le passeggiate al parco con i coetanei o con quelli addirittura più grandi di lui? Che non è al tramonto della vita, come sostiene la moglie, e che i libri messi da parte per la pensione possono aspettare?
Il pregiudizio verso l’età, purtroppo, non appartiene solo alla sua famiglia: anche per noi è divertente vederlo in bici mentre consegna pacchi sulle strade gelate di Praga, responsabili dell’inevitabile caduta che tutti ci aspettiamo.
Ridiamo anche quando per ottenere l’assunzione al supermercato fa i piegamenti sulle gambe, a dimostrazione di un corpo ancora atletico. Aveva ragione allora Malcom Cowley quando diceva tristemente: “Invecchiamo prima agli occhi degli altri, poi poco alla volta arriviamo a condividerne il giudizio”. E Charles Simmons (leggete Le pieghe dei giorni se vi capita!) dice che arriva il giorno in cui la cassiera del supermercato non flirta più con te o la ragazza che ti ferma a chiedere un’informazione per strada, lo fa perché sei affidabile e non perché sei bello.
Come a dire: il più delle volte l’età ci viene attribuita dagli altri prima ancora che da noi stessi! Ed è quello che facciamo in sala davanti al sessantacinquenne Joseph, ex- professore che si rifiuta di piangere sulla sua perduta giovinezza, rimandando di un po’ la fase del ritiro, e , sperimentando dell’altro. Un lavoro per esempio che non affatichi la mente, ruoli non più decisionali, azioni che nel loro ripetersi hanno quasi il sapore di un’attività zen.
E’ facile capire, però, (ancora una volta per chi scrive) come una vita vissuta nella scuola possa a volte far preferire le bottiglie agli studenti, e una poesia ripetuta per anni ad alunni refrattari possa essere molto più mortificante di un lavoro che lasci libera, completamente libera la mente!
Ridiamo o sorridiamo al cinema anche perchè non abbiamo ancora accettato che ci sono diversi e tanti modi di invecchiare; tutti ugualmente rispettabili. C’è chi si ripiega su di sé; chi si apre di più al mondo; chi riorganizza tutta la propria vita popolandola oltre modo di progetti, convinto di non avere così il tempo di morire; chi più saggiamente focalizza l’attenzione in poche tranquille attività; chi finalmente trova il tempo e il modo per coltivare, rinnovare o approfondire il proprio mondo interiore, sempre a dispetto delle scadenze dettate da Freud.
Judith Viorst, nel suo libro Distacchi, che è degli anni Ottanta, ma resta uno dei saggi migliori sui passaggi dell’età, ci dice “La vecchiaia può essere attiva o disimpegnata, disturbata o serena, può voler dire mantenere le proprie posizioni oppure far cadere le maschere, consolidare le proprie convinzioni oppure promuoverne di nuove, persino anticonformiste”. E ci regala una poesia:
Quando sarò vecchia mi vestirò di porpora,
Con un cappello rosso che non si intona e che non mi dona….
E ruberò la roba nei negozi e suonerò gli allarmi
E passerò il bastone lungo tutte le cancellate….
Uscirò in ciabatte sotto la pioggia
E raccoglierò i fiori nei giardini degli altri
E imparerò a sputare.
Non è carina?
Margherita Fratantonio
Vuoti a rendere
Regia: Jan Sverák Sceneggiatura: Zdenek Sverak Cast: Zdenek Sverak, Tatiana Vilhelmová, Daniela Kolarova, Alena Vránová, Jirí Machacek Produzione: Gran Bretagna, Repubblica Ceca, 2007 Distribuzione: Fandango Durata: 103 min.
Josef Tkaloun, il professore di letteratura ceca in Vuoti a rendere, ha in serbo una bellissima frase per chiudere la situazione nella quale non si riconosce più, per chiudere e forse ricominciare, e se ne esce due volte nel film dicendo: “Vado via perché qui non sono più felice”. Invidiabile! Potessimo dirlo noi con tanta naturalezza!
E così lui lascia la scuola (a pieno diritto, visti i suoi sessantacinque anni) dopo una scena che può sembrare paradossale, ma solo per chi non ha mai pretesto di trasmettere il fascino della poesia. Per chi invece si ostina a farlo (come chi scrive) è un momento di vita quotidiana. In ogni classe s’incontra il solito ragazzino sbruffoncello, resistente all’apprendimento, quello che per intenderci cerca e vuole mantenere il proprio ruolo con la provocazione, sempre.
La poesia di Jaroslav Vrchlický che Joseph non riesce a spiegare per le spiritosaggini del suo allievo è bellissima:
...per un po' d'amore in capo al mondo andrei
andrei a capo scoperto e a piedi scalzi
per un po' d'amore in capo al mondo andrei
come chi sta davanti a una porta e chiede...
Anche Joseph andrebbe in capo al mondo per un po’ d’amore, sia quello sognato la notte (erotico e irraggiungibile), sia quello immaginato; l’altro, quello di giorno, non sembra più realizzabile. La moglie è sempre distratta, lontana nella eccessiva vicinanza del pensionamento (eppure anche lei così desiderosa d’amore!); la collega disponibile perde il fascino peccaminoso via via che l’incontro si avvicina.
Così lui giustamente pensa ad altri lavori e, dopo un’esperienza fallimentare come pony express, lo troviamo in un supermercato a ritirare vuoti di bottiglie; Joseph è contento con occupazioni che la moglie e la figlia giudicano degradanti, ma che per lui sono la vita, perché alla vita rispondono. E’ felice di lavori che finalmente non hanno bisogno di libri, di citazioni, di saperi che non siano quelli di un’esistenza vissuta e non soltanto letta. “La carne è triste, ahimé, e ho letto tutti i libri” diceva Mallarmè ed è forse questo il principio a cui si ispirano i lavori semplici e gratificanti di Joseph.
Da una piccola finestrella che comunica con il grande supermercato, lui parla con i clienti e li ascolta come chi ha raggiunto oramai una certa saggezza: dispensa consigli, combina matrimoni, consola, escogita bugie per il bene altrui. Inventa, e con piccoli indizi costruisce storie sulle vite delle persone che si affacciano al suo sportello.
Da magazziniere si fa assistente sociale, counselor, babysitter, porta la spesa a casa della vecchietta lagnosa e bada persino il cane di una cliente. Accoglie, incoraggia, non giudica.
Si troverebbe perfettamente a suo agio, Joseph, se non fosse deriso dalla moglie Eliska, la quale vive come un abbandono il suo star fuori di casa; carina la battuta di lui sul suo sentirsi un marito “bentornato”, cioè uno che al lavoro pensa alla moglie e quando torna urla “Ciao, cara, sono tornato!”, ma per far questo è necessario che prima sia uscito di casa!
Cosa deve fare di più Joseph per spiegare al mondo che si sente invecchiare, ma non si ritiene ancora del tutto vecchio? Che non è pronto per le passeggiate al parco con i coetanei o con quelli addirittura più grandi di lui? Che non è al tramonto della vita, come sostiene la moglie, e che i libri messi da parte per la pensione possono aspettare?
Il pregiudizio verso l’età, purtroppo, non appartiene solo alla sua famiglia: anche per noi è divertente vederlo in bici mentre consegna pacchi sulle strade gelate di Praga, responsabili dell’inevitabile caduta che tutti ci aspettiamo.
Ridiamo anche quando per ottenere l’assunzione al supermercato fa i piegamenti sulle gambe, a dimostrazione di un corpo ancora atletico. Aveva ragione allora Malcom Cowley quando diceva tristemente: “Invecchiamo prima agli occhi degli altri, poi poco alla volta arriviamo a condividerne il giudizio”. E Charles Simmons (leggete Le pieghe dei giorni se vi capita!) dice che arriva il giorno in cui la cassiera del supermercato non flirta più con te o la ragazza che ti ferma a chiedere un’informazione per strada, lo fa perché sei affidabile e non perché sei bello.
Come a dire: il più delle volte l’età ci viene attribuita dagli altri prima ancora che da noi stessi! Ed è quello che facciamo in sala davanti al sessantacinquenne Joseph, ex- professore che si rifiuta di piangere sulla sua perduta giovinezza, rimandando di un po’ la fase del ritiro, e , sperimentando dell’altro. Un lavoro per esempio che non affatichi la mente, ruoli non più decisionali, azioni che nel loro ripetersi hanno quasi il sapore di un’attività zen.
E’ facile capire, però, (ancora una volta per chi scrive) come una vita vissuta nella scuola possa a volte far preferire le bottiglie agli studenti, e una poesia ripetuta per anni ad alunni refrattari possa essere molto più mortificante di un lavoro che lasci libera, completamente libera la mente!
Ridiamo o sorridiamo al cinema anche perchè non abbiamo ancora accettato che ci sono diversi e tanti modi di invecchiare; tutti ugualmente rispettabili. C’è chi si ripiega su di sé; chi si apre di più al mondo; chi riorganizza tutta la propria vita popolandola oltre modo di progetti, convinto di non avere così il tempo di morire; chi più saggiamente focalizza l’attenzione in poche tranquille attività; chi finalmente trova il tempo e il modo per coltivare, rinnovare o approfondire il proprio mondo interiore, sempre a dispetto delle scadenze dettate da Freud.
Judith Viorst, nel suo libro Distacchi, che è degli anni Ottanta, ma resta uno dei saggi migliori sui passaggi dell’età, ci dice “La vecchiaia può essere attiva o disimpegnata, disturbata o serena, può voler dire mantenere le proprie posizioni oppure far cadere le maschere, consolidare le proprie convinzioni oppure promuoverne di nuove, persino anticonformiste”. E ci regala una poesia:
Quando sarò vecchia mi vestirò di porpora,
Con un cappello rosso che non si intona e che non mi dona….
E ruberò la roba nei negozi e suonerò gli allarmi
E passerò il bastone lungo tutte le cancellate….
Uscirò in ciabatte sotto la pioggia
E raccoglierò i fiori nei giardini degli altri
E imparerò a sputare.
Non è carina?
Margherita Fratantonio
Vuoti a rendere
Regia: Jan Sverák Sceneggiatura: Zdenek Sverak Cast: Zdenek Sverak, Tatiana Vilhelmová, Daniela Kolarova, Alena Vránová, Jirí Machacek Produzione: Gran Bretagna, Repubblica Ceca, 2007 Distribuzione: Fandango Durata: 103 min.