"Coco Avant Chanel" (2009) di Anne Fontane

“Sono irritata, irritante, irritabile”: non tutti possiamo permetterci dichiarazioni così. Lei, Coco Chanel, lei, sì. Antipatica, autoritaria, anarchica. Affascinante. Scostante. Forse anche per questo, Maidemoiselle sta così tornando di moda, tra le giovanissime, tra le meno giovani, tra gli uomini e le donne. Sono scritte da uomini due recenti biografie (Henry Gidel e Alfonso Signorini); è di un uomo (Christian Duguay) la fiction trasmessa l’autunno scorso dalla Rai; di mano femminili invece un’altra recentissima biografia (Elisabeth Weissman) e l’ultimo film, Coco Avant Chanel (Anne Fontane). Bella e interessante la serie televisiva in due puntate con Shirley MacLaine nel ruolo di Coco anziana, sempre più esigente con la vita e con gli altri e Barbara Bobulova che è Coco da giovane, dolce e determinata, più determinata che dolce, a dire il vero. La narrazione comincia quando Gabrielle Bonheur (vero nome di Coco) ha settantun anni; e ricostruisce tutta la sua vita.
Dalle umilissime origini, alla morte della madre, all’abbandono del padre; poi l’orfanotrofio, l’impiego da sartina, il tentativo di sfondare sul palcoscenico, la convivenza interessata con il barone Étienne Balsan, l’amore dell’inglese Capel (soprannominato vezzosamente Boy), i primi lievi successi, fino all’acclamazione di regina della moda, il lungo silenzio, il ritorno sulle scene.

Anne Fontane ha scelto invece gli anni in cui Coco rincorre il successo con determinazione, stravaganza, sfrontatezza, tenacia, ma ci racconta anche il primo grande innamoramento. La dipendenza dall’amore e dal lavoro che ha segnato tutta la sua vita: “Se un giorno ti capiterà di toccare il fondo della disperazione, di non aver più niente, né nessuno… potrai sempre bussare alla porta di un amico: il lavoro”. “C’è un tempo per il lavoro e quello per l’amore. Questo ne lascia poco per il resto!”

Nel film, alla morte improvvisa dell’amato Boy, allo sguardo allucinato di Coco nel luogo dell’incidente, segue la scena della prima sfilata e il sorriso sulle labbra di lei, seduta sulla scalinata dell’atelier, da dove seguiva le sue modelle; un sorriso prima timido, solo accennato, che si apre via via, fino a diventare splendido sui titoli di coda.

Quindi nell’amore o nell’attivismo frenetico Mademoiselle compensava le privazioni dell’infanzia e dell’adolescenza, i vuoti, le assenze, le ferite. Ma anche in altro. La piccola Gabrielle non ha ricevuto una buona cultura e sarà amica degli intellettuali più in vista della vita parigina ed europea (Cocteau, Colette, Stravinsky, Picasso, Visconti); non ha avuto potere e intesse relazioni con il granduca russo Dimitri e il duca di Westminster, fino a diventare amica persino di Churchill; non ha avuto denaro e costruisce l’impero che sappiamo; non ha avuto amore, ma l’amore, nella sua vita come in quella di tutti, merita un discorso a parte.

Coco sembra volersi sempre vendicare del passato: risarcimento, rivalsa, rivincita, acredine, amarezza, mai sopiti del tutto. Non le basta essere ricchissima: vuole di più, una compulsione verso il denaro e il successo (avara e a volte fin troppo generosa), per pareggiare i conti con un’infanzia negata, che lei continuerà a negare tutta la vita.

In più, costruisce della sua esistenza versioni sempre differenti, dichiarandolo: “Ho inventato la mia vita perché non mi piaceva”. Negli anni dell’orfanotrofio racconta di un padre affettuoso che tornerà a prenderla, per dimenticare un genitore donnaiolo, inaffidabile, fanfarone, dedito solo ai suoi sogni di grandezza. Dice di essere la figlia preferita, ma lui non ha esitato ad abbandonarla insieme ai fratelli e alle sorelle. Architetta nobili origini, zie severe che l’hanno educata alle regole aristocratiche. Minaccia persino i parenti di sospendere l’assegno di mantenimento se si lasciano sfuggire frammenti di verità.

La vita è stata rigida con lei? E lei matura, una personalità sempre più rigida, rafforzandola. Una personalità orale, la definirebbe Perls: con la sigaretta sempre tra le labbra e un modo di vivere le esperienze, quasi ingoiandole, afferrandole, senza assaporarle, senza masticarle. Insegue il successo, lo ottiene, ma deve andare oltre, in un gioco senza fine.
Perls, provocatorio come sempre, lo definisce il complesso del cicciotto, di chi si aggrappa ad una persona o ad un oggetto con la speranza che questo lo aiuti, ma senza in realtà appropriarsi fino in fondo di niente.

Un po’ come le cinquanta Danaidi. Lucrezio nel suo Vivere laico ce le racconta così: “…il mito delle Danaidi, ragazze che nel fiore dell’età tentano di raccogliere dell’acqua con un vaso forato che in nessun modo può essere riempito, credo rappresenti il tentativo degli uomini di saziare un animo perennemente insoddisfatto e di riempirlo di beni senza riuscire mai ad accontentarlo”

L’incontentabile Coco intesse su di sé trame sempre più avvincenti: fandonie, frottole, fantasie. Ma la morte della madre, quella no, non l’ha mai censurata. “Quando avevo dodici anni, mi hanno tolto tutto! E sono morta”. Jeanne era una donna fragile, fedele al marito Albert nonostante i tradimenti, nonostante le assenze. E forse Coco, in una sorta di coazione a ripetere, ricalca la stessa dedizione verso l’uomo amato, introiettata insieme alla figura materna. "La bellezza serve alle donne per essere amate dagli uomini, la stupidità per amare gli uomini".

Non sarà mai moglie, confinata dai suoi stessi comportamenti nel ruolo di amante, condannata all’attesa, come la madre, ma anche come lei stessa bambina, che si ostinava ad aspettare un padre sempre più lontano, sempre più distratto. Da piccola seppelliva i regali di lui vicino al cimitero, da grande ama con assoluta dedizione, e ha un legame maniacale con gli oggetti.

Per il resto, le piacciono gli atteggiamenti distaccati, simili a quelli paterni: strafottente, indisponente, insofferente. La stessa donna tenera e remissiva in amore, è capace di trattare malissimo le sue lavoranti, umiliarle per non aver ubbidito ad ordini che lei non ha dato, criticare sprezzante Dior, dandogli del tappezziere, dire ad una modella incinta: “Vai a partorire da un’altra parte!”. Figli non ne può avere. Due grandi ferite: non essere figlia, non essere madre.

Dice di lei Cocteau: “Le sue ire, le sue cattiverie, i suoi gioielli favolosi, le sue creazioni, i suoi capricci, i suoi eccessi, le sue gentilezze come il suo senso dell’umorismo e la sua generosità, compongono un personaggio unico, coinvolgente, affascinante, detestabile, eccessivo… umano, insomma”. Sarebbe stata meno umana Coco se avesse integrato almeno qualcosa della passata Gabrielle?

Meno infelice, ma possiamo esserne poi tanto sicuri? Forse la resistenza alle cure ha un senso, forse è bene che chi non sa e non vuole affidarsi reagisca alla vita con le strategie che conosce. E forse Coco non sarebbe diventata Coco Chanel, se avesse affrontato i suoi fantasmi; senza la stessa ambizione, la stessa spinta a distinguersi per essere ricordata a tutti i costi.

Andar controcorrente in un’epoca di fronzoli e di pizzi voleva dire cercare l’essenziale, la sobrietà ed è incredibile come la sua scelta sia stata così seguita dalle donne di allora e da quelle a venire: “Ho restituito libertà al corpo delle donne. Un corpo che sudava dentro gli abiti di gala, sotto i merletti, i corsetti, la biancheria, le imbottiture”.

Geniale! E’ stata la prima donna ad indossare i pantaloni, inventando una nuova femminilità, un nuovo stile (“La moda passa, lo stile resta” e il suo è rimasto per tutto il Novecento); ha sposato eleganza e comodità, vestito le donne più famose del mondo, creato, per prima su si sé, un modello di indipendenza, dall’uomo e dalle vecchie regole sociali. Rivoluzionaria, moderna, contraddittoria; ma non sono le persone piene di contraddizioni quelle che seducono di più?

Sempre spavalda per nascondere la sua fragilità; altera fino alla fine, quando potrà dire: "Non mi pento di nulla nella mia vita, eccetto di ciò che non ho fatto."

Margherita Fratantonio





Coco Avant Chanel
Regia: Anne Fontane
Sceneggiatura: Anne Fontaine, Christopher Hampton, Camille Fontaine, Jacques Fieschi
Cast: Audrey Tautou, Alessandro Nivola, Benoît Poelvoorde, Marie Gillain, Emmanuelle Devos
Produzione: Francia 2009
Distribuzione: Warner Bros Italia
Durata: 110 minuti





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